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Santo Stefano di Sessanio Ultramaratona del Gran Sasso 2017i

SERVIZIO FOTOGRAFICO

 

Che fosse la settima edizione, lo recitano il volantino e il sito ufficiale (a dire il vero, non troppo aggiornato); da qualche parte si trovano albi d’oro che partono dal 2007, sia pure con qualche anno saltato o qualche anno dubbio, e lascerebbero pensare a 8 edizioni.

 

In ogni caso, che nell’ultima domenica di luglio 2017 si sia corsa questa 50 km (che poi, da qualche angolo del sito, risulta 50,500) del Gran Sasso (dove peraltro il Gran Sasso sta nello sfondo, a 5-6 km quando è più vicino), ve lo posso garantire io che l’ho fatta, trovandomi proiettato in un ambiente straordinario – l’aggettivo è meritato, non me lo suggeriscono Fabio Fazio o Vincenzo Mollica – e constatando come questa gara, poco o nulla reclamizzata, riesca senza difficoltà a superare il tetto programmato dei 300 iscritti.

 

Correre alla fine di luglio attorno al Gran Sasso, e in particolare nell’immenso vallone di Campo Imperatore, a 1500 metri di quota, dove gli alberi sono un’eccezione, e purtroppo il transito di motociclette o camper la regola, significa quantomeno sottoporsi al rischio dell’insolazione e disidratazione, tanto più in quest’estate che tutti i guru del meteo annunciano come la più calda dal giorno che Eva staccò la mela dall’albero.

 

Eppure, la piazzetta centrale di Santo Stefano di Sessanio (un borgo di 130 abitanti che onora la sua fama di paese tra i più belli d’Italia, colpito dal terremoto ma intatto o splendidamente rinato nella parte alta), piazzetta che si riduce a uno slargo tutt’al più di 15x20, alle 8,30 di domenica non riusciva a contenere i partecipanti alla corsa: affezionati (moltissimi erano al secondo sigillo o più), ardimentosi, data la temperatura che stava “solo” sui 27 gradi ai 1250 metri della partenza-arrivo, curiosi o semplici amatori della corsa in ambiente naturale ma senza gli estremismi dei super-ultra-mega trail , e pure qualche fanatico…: però, insomma, la classifica ufficiale annovera 359 arrivati (più cinque staffette di coppia, gara di cui il volantino non diceva niente).

 

L’ex azzurro Alberico Di Cecco ha regolato tutti con 3.16:49 (oltre 4 minuti sul secondo, Wouter De Cock, 20 sul terzo e 34 sul quarto, tanto per dire che non c’è stata storia); confermando il successo del 2016 ma oggi con 12 minuti in meno, e arrivando esattamente un’ora davanti alla prima donna (22° assoluta), Elena Di Vittorio, che nel 2016 era stata terza.

 

Ma, ripeto, la cosa fuori dell’ordinario viene dalla partecipazione, più che doppia (stando alle statistiche) di due anni fa: e avevo cominciato a capirne le ragioni quando, ai primi di luglio, telefonai all’organizzatore Franco Schiazza per chiedergli notizie sugli alloggi possibili. Ebbene, nel giro di 4 ore Schiazza, seppur facendomi notare che ormai gli alloggi in paese e nel circondario erano esauriti, mi ha fornito una lista di una decina di possibilità, non ricavandole da internet ma da giri di telefonate; e alla fine, grazie anche a lui, ho trovato un posto favoloso nella vicina Rocca Calascio, in pratica un castello adattato ad “albergo diffuso”, da dove raggiungere in dieci minuti la sede di partenza.

 

Organizzazione, dunque, familiare e ‘dilettantistica’ (nel senso migliore del termine): qui la Fidal non è di casa, e, ad esempio, non era prevista la custodia delle borse – anche se poi alla fine si è trovata una soluzione amichevole -, le docce erano aleatorie, i controlli sul percorso inesistenti, e il chilometraggio segnalato solo ai ristori, con ricorrenti proteste di chi aveva il Gps e rilevava differenze anche di un km o più (al 37,5 ufficiale, una ragazza che correva nei miei pressi ha obiettato che il suo Gps segnava 39, ricevendo come risposta che comunque fino al 42 avrebbe avuto salita poi poteva rifiatare…).

 

Ma tutto il resto mi fa dire che ne valeva la pena, e che si capisce come mai gli iscritti aumentino ogni volta.

 

Anzitutto la bellezza dei luoghi: di S. Stefano ho già detto, ma anche l’apparizione verso il km 12 del borgo di Castel del Monte, un triangolo annidato tra le rocce, ha avuto del magico; poi, lo “svalicamento”- come dicono qui - del km 22,5 (dopo una decina di km nei quali siamo saliti di quasi 700 metri, dei 910 dichiarati in totale dall’organizzazione), che ci immetteva nello smisurato pianoro di Campo Imperatore, è stato ricco di fascino: anche perché la stanchezza ci lasciava ancora abbastanza lucidità per ammirare il Gran Sasso sullo sfondo, e l’immenso altopiano popolato da cavalli sauri e vacche rigorosamente bianche, e chiuso in alto dal rifugio-albergo dove per due settimane fu prigioniero Mussolini, e c’è la coda per visitare a pagamento il suo appartamentino (dove sino a pochi anni fa si poteva anche dormire)...

 

Purtroppo, da Castel del Monte alla zona mercato di Campo Imperatore, i tornanti erano popolati da auto, moto e perfino inquinanti Vespe in misura sopra il tollerabile (un raduno?). Per fortuna, dal km 35 le cose sono andate molto meglio, e tutt’al più dovevamo tendere l’orecchio al ronzio silenziato delle biciclette che ci raggiungevano alle spalle.

 

Eccellenti i ristori (a parte le discutibili indicazioni chilometriche): ho prediletto le fette di cocomere e gli idrosalini, ma c’era un po’ di tutto (anche la birra, al km 45), e ogni tanto spuntava dal monte qualche cannella o fontanella che ci offriva fresca acqua supplementare; essenziale per uno sventato come me che aveva deciso di partire senza il cappellino raccomandato, e di cui era dotato almeno il 95% dei corridori (incluse alcune curiose varianti, come quella specie di cuffietta con pirullo che faceva pensare a un preservativo con serbatoio). Insomma, testa sotto il getto, e per un po’ sei tutelato. Poi, dopo quattro ore, il cielo si è a tratti rannuvolato, e dunque l’insolazione è rimandata al prossimo turno.

 

Un bacetto devo darle anche alle mie Mizuno Wawe Legend, ormai fuori mercato e infatti escluse dai più recenti cataloghi, ma che per 80 euro stanno ammortizzando a meraviglia le mie membra appesantite; e stavolta mi hanno addirittura consentito di arrivare davanti alla Miss Corsa Luisa Betti, una F 20 seconda della sua categoria, e sostenuta nello sforzo da un nugolo di gabbiani, pronti a rallentare se lei rallentava, a camminare se lei camminava, e speranzosi che lei si fermasse, preferibilmente in luogo solitario, ché si poteva tentare il colpo della vita…

 

Molti amici tra i partecipanti, in particolare quelli del club Super Marathon moralmente guidati da Vito Piero Ancora dall’altro delle sue 1017 maratone. Michele Rizzitelli mi ha inflitto l’ennesima sconfitta dell’anno, vincendo la categoria M 70 con 5.53, giusto un’ora – anche lui – davanti alla moglie Angela Gargano.

 

E anche riguardo alle classifiche, devo dire che, seppur gestite del tutto manualmente (cioè senza chip) dai giudici Uisp, in pochi minuti erano affisse al tabellone (se penso che alla Longarone-Busche, superchippata e super-fidalizzata, la pagina che riguardava il sottoscritto non è mai apparsa sui tabelloni, cosicché qualcuno si è ciulato il mio premio di categoria…), consentendo premiazioni sollecite e verificabili, mentre si svolgeva intanto il pasta-party compreso nei 30/40 euro di iscrizione: maccheroni, affettato, verdure, acqua, e Franco Schiazza girava fra i tavoli offrendo vino (oltre alla bottiglia già compresa nel pacco-gara).

 

Ecco perché, al di là di qualunque elucubrazione o giudizio o pre-giudizio o ideologia pre- o post-muro di Berlino, i numeri parlano chiaro: l’Ultra del Gran Sasso piace, e se lo merita.