Si può fare di più…
Neanche il tempo di portare a gara i premi del campionato regionale trail Uisp dell’Emilia-Romagna (Reggio, sabato 9 pomeriggio), che domenica 10 è cominciato il campionato 2016, forte di 45 gare o giù di lì. Già questo numero dice che sono inevitabili delle concomitanze, e così è stato fin dal primo giorno, con due gare quasi agli estremi della regione, tra Piacenza e Ravenna. Ed è fatalmente successo che alla gara ravennate, il Poggiolo di Casola Valsenio, siano andati quasi solo bolognesi e romagnoli (ma ha vinto il modenese Giulio Piana), per un totale di 147 classificati; mentre a San Michele di Morfasso, comune famoso per una maratona trail disputata in agosto, sotto l’organizzazione dei Lupi d’Appennino (la stessa della Abbots Way) si siano presentati in 173, di cui 166 arrivati fino in fondo al percorso più lungo, in gran maggioranza delle province di Parma e Piacenza.
Personalmente, come una decina di altri modenesi e reggiani (con la pluripremiata di sabato, Soraya Pozzi) dopo tante partecipazioni in Valsenio quest’anno avevo deciso di variare, con una gara mai fatta (la vita si accorcia e le occasioni di provare esperienze nuove calano di anno in anno). Iscrizione al prezzo canonico di 1 euro a km (18), costo più esoso per il pasta-party successivo, quotato 16 euro (no grazie); soli 5 euro per i 10 km non competitivi, a partenza pressoché libera. Dopo la gran pioggia della notte, ci troviamo al mattino tra una canonica e un camping inattivo a 670 metri d’altezza, con 0 gradi e ancora sotto la nebbia (ma poi verrà un discreto sole, e addirittura 7 gradi!).
Nessuna formalità per iscrizioni e partenza: cioè nessun controllo del cosiddetto materiale obbligatorio (acqua, barrette, antivento), nessuna punzonatura, nessun chip; e poco dopo le 9,30 Elio Piccoli, patron come dicevo della Abbots, dà il via, dopo essersi raccomandato di stare attenti al fango. Un po’ di asfalto, poi via per la prima salitina, quasi tutta su carrarecce abbordabili, fino al ristoro del km 3,5. Qui si dividono i percorsi dei 10 e dei 18: noi a sinistra, lungo una discesa un po’ fangosa che ci porta nelle vicinanze dell’antichissima città romana di Veleja (km 7); poi lungo un tratto abbastanza piacevole verso un delizioso villaggetto che direi si chiami Sgarbozza, dove troviamo un ristoro paesano comprensivo di vin brulé (a me, due bicchieri!). Poi su e giù, fino all’attacco della salita più aspra, che ci porta oltre i 1000 metri su un crinale battuto dal vento (ricorda un po’ il passo del Brattello, punto mitico della Abbots). La segnaletica del percorso, ahinoi, comincia a diventare meno abbondante, e – stando ai racconti che sentiremo all’arrivo – cominciano gli smarrimenti nel bosco, che in qualche caso porteranno all’abbandono, o più spesso a percorsi molto individuali, cosicchè i nostri Gps alla fine oscilleranno fra i 18 e i 20 km, mentre l’altimetria complessiva sarà superiore ai 1000 metri, cioè decisamente più che il dichiarato.
In un trail, diciamo per consolarci, gli smarrimenti sono all’ordine del giorno: un po’ meno, però, dove i segnali sono l’uno in vista dell’altro, dove nei bivii è sbarrata la direzione falsa, dove anche i sassi sono marcati col colore , dove ogni tanto si vede qualche addetto. Tutto questo, almeno negli ultimi 7-8 km di San Michele, era raro o mancante; mancavano anche controlli sul percorso (che so, almeno sulle due o tre cime oltre quota 1000), cosicché in teoria un furbo e conoscitore dei luoghi poteva arrivare al primo ristoro (che fungeva anche da terzo e ultimo) e imboccare direttamente la via del ritorno, cavandosela più o meno con 8-9 km.
Naturalmente, non l’ha fatto nessuno (sono cose da maratoneti, non da trailer), però sarà lecito avanzare dubbi su molti dei singoli piazzamenti. Personalmente, me la sono cavata con poco: arrivato indenne al km 13, cioè ormai in prossimità dell’ultimo ristoro, ho intravisto (e molti altri con me) sulla destra una chiesa contrassegnata da una magnifica bandella biancorossa: mi ci sono diretto, aggirando poi la chiesa sulla sinistra e seguendo una carrareccia, che poi sbucava in una strada asfaltata su cui spiccava una bella freccia arancione uguale alle altre viste prima nei tratti stradali. Poco dopo, un cartello a forma di freccia e la scritta TdP (“Trail del Parco”) invitava a scendere nel bosco; ma i segnali sparivano del tutto. Pare che quello fosse il percorso del 2015, non totalmente ripulito dai segnali antichi.
La furbizia avrebbe suggerito di recuperare la strada asfaltata in discesa, che mi avrebbe comodamente portato a ricongiungermi col percorso giusto a 2 km dalla fine (Cà delle Donne), evitando un ultimo salitone e ancora tanto fango; la lealtà e la saggezza trailesca prescrivono invece di tornare indietro fino all’ultimo segnale visto, e così ho fatto, cercando invano di chiamare al telefono l’organizzazione (non c’era campo!); poi mi sono imbattuto in un’auto che stava appunto rastrellando i dispersi, e ricevevo le indicazioni giuste (ma ho rifiutato l’offerta di salire!). Stando al Gps, dovrei aver fatto 1500 metri in più e 500 in meno per una scorciatoia suggeritami, in un quarto d’ora circa: alla fine il Garmin mi dà 19 km e 1100 metri di dislivello.
Va peggio ad altri, che addirittura sbagliano dopo il ristoro, allargando alquanto il semicerchio della discesa finale; ma insomma, bene o male arriviamo (quasi) tutti al traguardo e alla classifica (molto tempestiva, la sera stessa), e a un ristoro finale che, se ormai ha esaurito tutto il salame, conserva però squisite fette di pane locale da inzuppare nell’olio, ed esibisce un eccellente vino rosso. Le docce promesse ci sono, in fondo a uno stanzone-dormitorio non riscaldato; e la temperatura dell’acqua è più vicina allo zero che ai dieci: non perché il boiler sia stato svuotato dai primi a docciarsi; no, proprio dai rubinetti dell’acqua calda non esce niente, mentre da quelli dell’acqua fredda non c’è nessun problema. Almeno d’inverno, si potrebbe fare qualcosa di più.
Eppure c’è chi ha lavorato per due o forse per quattro: alla fine delle ostilità, quando la sala del ristoro è ridotta a un ammasso di avanzi, bicchieri, piatti, fango ecc., sento Elio dire a una addetta: “Lascia tutto così, martedì vengo io e sistemo tutto”. Una frase così merita la comprensione e il perdono di noi che con 18 euro crediamo di aver diritto a tutto: se però il branco dei Lupi d’Appennino fosse più consistente, saremmo tutti più felici.