Una ‘farfalla’ per correre ad occhi aperti
Che ci fosse una partecipazione super l’ho capito subito, un’oretta prima del via, all’ingresso del parcheggio Toschi convenzionato con la gara (o, per essere esatti, che concedeva la tariffa di 3 € per quasi tutta la giornata a chiunque, atleta o no, fosse entrato prima delle 9): lunga fila di auto, il tabellone luminoso oscillava tra i 2 e i 6 posti disponibili in tutto, molti perdevano coraggio e invertivano la marcia. Io (memore di una multa beccata qualche mese fa a Parma per parcheggio in ztl) sono entrato, salvo fare poi tre volte il giro in tondo del piano -1 senza trovare un posto che era uno (ma a che servono quelle lucine verdi, se lo stallo è occupato?); finché un addetto ci ha consentito di parcheggiare nelle strisce gialle dell’handicap.
Anche raggiungere i vari luoghi ‘utili’ disposti intorno all’area di partenza non è stato semplice, data la ressa (gli organizzatori parlano di seimila partecipanti comprese le varie non competitive): consegna pettorali da una parte, spogliatoi (un po’ miserelli, ti siedi sull’asfalto) in zona, gabinetti pure (insufficienti come numero), ma consegna borse dal lato opposto, diciamo a 250 metri esclusi gli zigzag.
Sveltissima la consegna pettorali e del ricco pacco gara (maglietta, generi alimentari di vario tipo nella tradizione parmigiana: mi è venuto in mente il Sugoro Althea che in casa mia si consumava più di mezzo secolo fa, e il Cremifrutto preso come merenda a scuola, 30 lire e c’era pure un francobollo da collezione).
Alla consegna borse ho avuto un secondo dubbio, dato che a dieci minuti dal via eravamo ancora in centinaia che aspettavamo; poi hanno aperto un secondo varco e insomma, alle 9,27 sbrigate le nostre cose siamo entrati dal fondo delle griglie. Due minuti per muoversi, dopo lo sparo; il riscaldamento lo facciamo nel primo km, sui 5:14; e per i bisogni fisiologici… qualcuno aspetta l’ingresso nel parco, dopo 6 km.
Correre nei centri storici dà questi problemi; e a quanti si lamentavano degli intralci posso replicare che non rimpiango certo una maratonina di Parma di una ventina di anni fa, quando il via fu dato praticamente sulla tangenziale; o un’altra mezza a Baganzola dove si andava solo per campagne. Il percorso di 10 km (da fare una, due o tre volte), visto dall’alto dà l’impressione delle ali di una farfalla: quattro lobi che partono e tornano nella zona monumentale, tutta da vedere levando per un attimo gli occhi dalle insidie del fondo, tra la Steccata e la Pilotta, il Duomo-Battistero e San Francesco, col respiro dato poi dalle alberature del parco Ducale, percorso per metà nel primo giro e tutto intero nel secondo, per aggiungere quel chilometrino mancante a noi della mezza.
Che eravamo in 1500 tondi, da sommare ai 300 della 30 km e i quasi 400 della 10. Venuti da tutta Italia, con un’ovvia prevalenza dei padroni di casa del Noceto che ne hanno piazzati addirittura 4 nei primi 4 posti (i primi due però, diciamo così… oriundi; e anche il quinto, del Cus Parma, non poteva concorrere al campionato nazionale, magari finché non gli faranno sposare una donna della Baggina e così sarà abile e arruolato in azzurro per le nostre futuribili medaglie olimpiche).
Italianissima è invece la mia vecchia amica, pure del Casone Noceto, Raffaella Dall’Aglio, che incontro da almeno trent’anni alle corse e oggi all’uscita ho salutato con indosso la maglia di campione d’Italia F 70, con 2.03. Tempi come questo, ma anche l’1.07:09 del vincitore, a 3:10 /km, sono a mio parere di un certo rilievo perché il tracciato era in asfalto per meno della metà, e il resto si divideva in sterrato, lastricato e persino ciottoli di fiume in zona Duomo; aggiungete le tante curve secche delle ali della farfalla, e i 68 metri di dislivello complessivo, qualche piccolo cordolo o scalino, e insomma i tecnici potranno applicare qualche tara.
Perfetta la chiusura del traffico (più che i vigili, ho visto degli alpini in congedo a dirigere il traffico); alla fine, in zona S. Francesco, ci hanno esortato a tagliare una curva ad angolo retto attraversando in diagonale un prato; sarà anche per questo che la distanza, che il Gps testimoniava fino a 150 metri più del canone, alla fine è risultata eccedente di poche decine di metri (e vi garantisco che non prendo le curve all’esterno, ma certamente sono stato costretto a molte deviazioni per i sorpassi, specie nel primo giro quando tutto il gruppone dei seimila era unito). Curiosamente, ricordo un altro campionato italiano di maratonina, a Pescara una ventina d’anni fa, dove il percorso stava sui 21,500…
Sette o otto i controlli chip (qui la Sdam, alias Championchip, è di casa, anche se non sono riuscito a vedere di che colore sono oggi i capelli di Christian Memè): il passo avanti, che in Germania e Svizzera hanno compiuto da decenni, sarà quello di basare le classifiche sul tempo netto e non sul gun-time, che penalizza chi stava dietro (sì, lo so che la Fidal ecc. ecc. – ma siccome oggi i giudici di gara sono impalpabili perché fa tutto il chip, a che serve restare ancorati a uno stile concepito quando correvano in dieci o in cinquanta?).
Per la ressa, ho saltato il primo ristoro, usando poi gli altri tre dove l’acqua era sempre deliziosamente fresca; puntualissimi e abbondanti, fin dal km 2.5, anche gli spugnaggi, benemeriti dati i 23 gradi di temperatura. Notata la delicatezza degli addetti che, a una curva secca a sinistra dopo un ristoro, esortavano a prenderla larga perché altrove si scivolava.
Altre lamentele ho sentito sul traguardo, per una certa povertà del ristoro finale; in realtà ce n’erano due, a me hanno indicato subito quello dei non comp (acqua, tè, biscotti) che stava dalla parte opposta rispetto al ritiro borse dove invece, un po’ nascosto, c’era quello dei comp: frutta fresca, dolci, acqua, integratori liquidi. Decisamente più scomodo (diciamo, 400 metri, contro i 150 annunciati) il ritrovo per la navetta degli spogliatoi, un pulmino da 9 posti sui cui salivamo in 20-23 per volta, diretti al centro “Raquette” a circa 3 km (qualcuno chiedeva se poteva andare a piedi, e veniva dissuaso). Sulla temperatura dell’acqua ferve il dibattito: le donne assicuravano, con iperbole tipicamente televisiva, che era “ghiacciata”, e ovviamente non posso smentirle. Dalla nostra parte (6 docce in tutto, non un granché), se le tenevamo tutte aperte e volevamo un getto forte girando la levetta a destra, ovvio che l’acqua veniva freddina; io che mi contentavo di quel poco che poteva venire col miscelatore a sinistra, mi sono lavato i capelli e tutto il resto, senza problemi (vogliamo azzardare che fossero 28 gradi? Ne ho ‘gustate’ di peggio).
Per chiudere la contesa, magari il CUS Parma (di cui ho sperimentato le stupende docce e spogliatoi nel Campus, in occasione di tante belle corse fatte negli anni d’oro) potrebbe appunto dirottare i podisti da una parte e dall’altra: fare 3 km stipati in un pulmino, o farne 6 su un bus da 50, non ti cambia la vita. E magari st’altra volta le signore non si lamentano più.