Quante volte, nella mia vita podistica, ho toccato le 4 ore e più.
Quante volte, ho tenuto duro nei momenti di crisi della maratona pensando a mia moglie che mi attendeva sempre fiduciosa a 100 metri da traguardo per darmi quell’ultimo incitamento a chiudere la gara.
E così mio figlio, che da pazzo quale sono ho “trascinato” in giro per il mondo per vedermi terminare le gare cui partecipavo.
E quante volte, ancora, Mr. Obama, sono transitato attorno alle 4 ore.
Ho fatto il pacer 4.15 a Milano per 4 anni, il pacer delle 4 ore a Verona e Milano, il pacer non ufficiale a mia cugina Tiziana a Treviso 2009 (4.04).
E ho terminato tante maratone sotto le 4 ore, rimanendo poi nei dintorni, mescolandomi al pubblico nei pressi dell’arrivo per vedere i miei amici di corsa completare la loro gara, per ricongiungermi ai miei cari che mi avevano atteso; quante volte.
Insomma, quante volte sono stato lì al traguardo attorno alle 4.09.43, a chiacchierare, ad abbracciare i miei cari, ad incitare gli amici in arrivo.
E sono triste, non tanto per me, ma per loro, per i miei cari, mia moglie e mio figlio, che da sempre mi sopportano, supportano, mi aspettano, prendono freddo, mi applaudono entusiasti quando mi vedono arrivare e mi fanno sentire il numero 1, il “loro” numero uno, anche se il tuo cronometro dice 4.09.43.
Non è giusto, che queste persone che ti amano vadano incontro alle bombe, alla morte.
Chi corre sa che gli arrivi in una maratona si intensificano attorno alle 4 ore, e che i familiari dei partecipanti si assiepano numerosi ai lati del percorso di gara proprio allora.
Quante volte i miei affetti erano lì, al traguardo, agli arrivi delle 4 ore.
Sono talmente tante che non ricordo neanche più i luoghi, ma certo è avvenuto a Quebec City, Venezia, Ferrara, Firenze, Monaco, Parigi, Roma, New York, Milano, Reggio Emilia, Piacenza, Padova, Treviso, Venezia, Londra, Madrid, non lo so. So però che loro c’erano, erano lì ad attendermi, fiduciosi, sereni.
Ricordo che nel settembre 2001, la domenica successiva all’attacco alle Torri Gemelle, disputai a Parma la mezza maratona e alla fine del mese completai Berlino. In entrambe le occasioni vi erano mia moglie e io figlio (allora di 8 anni, come Richard) ad attendermi e ancora oggi ricordo l’atmosfera surreale che regnava tra noi runners.
Soprattutto a Berlino, dove un crogiuolo di razze e di nazioni si mescolava, ricordo di aver “sentito” la determinazione di tutti noi che calcavamo le strade berlinesi di non fermarci, non fermarci mai davanti a nulla, nulla ci avrebbe fermato.
Come Lei ha detto, Mr. Obama, “We can’t let something like this stop us”.
Era una voce corale che ci ha spinto per 42 km.
E ora, a distanza di ben dodici anni da allora, ancora dobbiamo –di nuovo- correre e non fermarci, non avere paura. Soprattutto ora che hanno colpito proprio il nostro sport, la nostra gara, la più antica gara.
Ma anche oggi, mentre correvo la Sarnico-Lovere, ho “sentito” lo spirito indomito del popolo delle corse, di chi ama e vive lo sport come passione e non per vincere.
Anche oggi ho sentito non solo in me, ma in tutti gli oltre 2000 concorrenti, la forza, la determinazione di voler andare avanti, di chi –come il piccolo Richard- dice: “No more hurting people. Peace.”
E allora, Mr. Obama, io che sono un “commoner” delle 4 ore, uno che spesso è attorno al traguardo quando il cronometro segna “4.09.43”, Le prometto che continuerò a correre, che correrò, la finirò, accidenti se la finirò, I’ll finish it, I’ll finish the race, e la prossima maratona, dovunque sia, in Italia, in Europa, negli Stati Uniti, nel mondo, la voglio completare in 4 ore, 9 minuti, 43 secondi.
Bet on it.