
Il passo m’è venuto in mente leggendo tutta la protesta che andava montando per il caso Mortillaro e per i disservizi riscontrati alla maratona di Vercelli, che hanno scosso in maniera massiccia la coscienza dei podisti in questa Primavera alquanto imbronciata. Non è che io ne sia esente — ci mancherebbe — e capita anche a me di prendere piena consapevolezza di qualcosa solo quando ci sbatto per benino addosso, tuttavia forse sarebbe il caso di interessarsi dei problemi pure quando non ci toccano direttamente. Anche perché, piaccia o non piaccia, prima o dopo la campana finisce per suonare per tutti.
In effetti c’è da stupirsi del nostro stupore per l’esistenza di non competitive che tali sono solo sulla carta, e non nella sostanza, quando magari ne abbiamo pure noi frequentate, senza neppure far caso ad una tale stranezza. C’è in definitiva voluto l’atleta siciliano per farci comprendere quel che sapevamo già. E ce ne indigniamo perché, grazie a Mortillaro, percepiamo che qualcuno può districarsi con disinvoltura quando le maglie delle regole non sono bene imbastite, e chiediamo giustamente maggiore chiarezza o una maggiore osservanza dei precetti.
Parrà bizzarro ma quanto successo non è che la piccola parte visibile d’un fenomeno ben più ampio che i più (per non dire, quasi tutti) considerano al massimo composto da accadimenti degni di una fuggevole curiosità e non certo meritevoli di un’attenta valutazione. Tutti aspetti per altro ritenuti marginali e non in grado di condizionare in un qualche modo il movimento podistico nel suo complesso.
Uno scarno campionario di regole difficili da comprendere, o magari disattese, lo si può ritrovare nelle varie puntate di “Le maratone rivisitate da podisti.net” e altre ancora se ne potrebbero rintracciare in altri scritti. Gli stessi regolamenti delle manifestazioni istituzionali, che pure passano al vaglio dei comitati regionali della FIDAL, ne contengono più d’una. Il sempre puntuale Stefano Morselli ha raccontato come il regolamento della Mujalonga, gara inserita nel calendario nazionale, fosse in palese violazione delle norme poste dalla stessa FIDAL relativamente alla distribuzione del montepremi. Non è sicuramente cosa da poco, eppure c’è chi s’è stizzito perché l’articolista avesse posto la questione, non già per le ingiustizie che le infrazioni possono implicare.
In genere si tratta di faccende di per sé poco rilevanti, o sapientemente dissimulate come tali, ma in ogni caso, messe assieme, sembrano tutte concorrere ed obbedire ad una stessa filosofia di fondo: consentire agli organizzatori di avere ampi margini di manovra e, contestualmente, relegare i master nella funzione di cenerentole lasciate in balia della matrigna di turno.
Anche i fatti accaduti a Vercelli seguono una medesima logica.
Magari gli organizzatori piemontesi avranno tirato un po’ troppo la corda, ne avranno fatta una più di Bertoldo ed avranno anche superato il limite non solo della decenza sportiva, pur tuttavia, in conclusione, le loro manchevolezze non sono altro che una piccola summa dei normali disservizi cui i podisti sono bene o male abituati a subire da tempo. Poi certo, fatte le debite eccezioni, ci saranno organizzatori più o meno disinvolti ma il risultato resterà pur sempre lo stesso: il comunicato stampa di turno appianerà ogni cosa utilizzando le solite frasi di maniera capaci di mettere in risalto i pregi e di sorvolare sui difetti, e, in assenza d’una reale critica o d’una istituzione in grado di garantire che le manifestazioni proposte si attengano a criteri di qualità e di correttezza, un tale documento di parte farà legge. Con buona pace di tutti.
Non a caso anche nel passato l’organizzazione di Vercelli aveva mostrato non banali manchevolezze, come hanno rammentato molti maratoneti attingendo ai loro ricordi, e, se malgrado ciò è riuscita ad arrivare indenne sino ad oggi, una qualche ragione ci deve pure essere.
Senza tirarla troppo per le lunghe, temo fortemente che le gare su strada soffrano da tempo della stessa autoreferenzialità della politica: sono configurate e organizzate partendo dagli interessi della burocrazia federale, degli organizzatori e di specifiche ditte di cronometraggio, e non si curano degli interessi generali e delle esigenze dei podisti. Ne è un significativo connotato la totale mancanza di trasparenza che rende levantino un mondo che, invece, si vorrebbe contrabbandare per romantico. Lo stesso presidente Giomi, nel programma presentato il 2 dicembre 2012 all’assemblea nazionale federale, ha ritenuto necessario dedicare un punto specifico al rispetto delle regole, alla trasparenza e alla questione morale proprio perché essi “rappresentano principi inderogabili e saranno frutto di una nuova cultura dell’Atletica”.
A tali parole mi aggrappo per sperare in un futuro migliore. Tuttavia, nell’attesa che i proclami divengano fatti concreti, la deriva non trova argine e prosegue nel suo inesorabile cammino, come i regolamenti delle prove su strada dimostrano in maniera inequivocabile.
Noi podisti amatoriali ne abbiamo fatto conoscenza, senza però accorgerci che era la solita novità in negativo. Ebbene, da un po’ di tempo a questa parte, stanno prendendo piede modalità diverse per iscriversi e per calcolare la quota d’iscrizione alle gare. Intanto per l’iscrizione vera e propria è necessario utilizzare una procedura online (Enter Now della TDS), e sin qui parrebbe tutto bene, considerato che uno spera così di risparmiare tempo e denaro; per la quota invece il computo è fatto, non più in base al periodo in cui si effettua il pagamento, ma automaticamente dal sistema in base al numero di podisti iscrittisi in precedenza, e pure in questo caso non sembra che ci sia nulla di cui lamentarsi.
Tanto per dare un esempio, il regolamento della maratona di Trieste prevedeva che i primi 250 iscritti pagassero € 33; dal 251mo al 400mo € 42 e poi quote a crescere per i successivi intervalli.
Tutto bene, come detto, finché non si scopre che ci sono delle commissioni da pagare, per altro di entità superiori a quelle che comunemente si liquidano per versamenti fatti tramite banca o posta, e che, nei casi in cui una società iscrive più atleti, si deve ripetere la procedura per ogni podista da registrare pagando per ciascuno di essi le relative commissioni. Così, se una società iscrive 35 atleti, finisce per saldare di commissione circa 100 euro, quando in precedenza ne pagava al massimo un paio. Ma non è finita qui, c’è un ulteriore particolare per nulla trascurabile: la procedura non fornisce un qualsivoglia riscontro oggettivo del numero di podisti iscrittisi in precedenza, vale a dire dà sì un numero, ma non la lista degli iscritti che ha concorso a calcolarlo. In pratica chi si iscrive non ha alcun mezzo per verificare che la quota sia quantificata in maniera corretta e che non stia subendo una delle tante furberie di rito. Un po’ come se ci facessero pagare la bolletta della luce o del gas indicandoci il numero del consumo rilevato, senza fornirci del contatore da cui possiamo accertarci che il conteggio è quello esatto e che, quindi, la cifra pagata sia quella effettivamente dovuta.
In pratica ricorda per sommi capi la deditio in fidem che i Romani imponevano ai loro nemici vinti. Semplificando, i vinti erano costretti ad affidarsi totalmente nelle mani dei romani, confidando nella loro buona fede.
Sebbene sussista l’aggravante che i romani erano comunemente portati ad essere corretti nei rapporti con gli altri (la tanto decantata bona fides) e noi moderni molto meno, portati come siamo alla creatività, ciò nonostante il problema non è tanto una questione di fiducia quanto piuttosto di principio: chi si iscrive ad una gara non può certo essere trattato come se fosse un asservito che si consegna indifeso nelle mani altrui. È questa posizione di debolezza, a cui per ineluttabile destino i master sono costretti, che dà fastidio perché di fatto inconcepibile. Senza considerare poi che, non essendoci alcuna difficoltà di ordine tecnico a dare unitamente al numero anche l’elenco dei podisti iscritti ad una competizione, non si capisce cosa renda gli organizzatori tanto restii a farlo.
So che qualcuno ha già posto la questione, senza però ottenere risposta: il solito riserbo dietro cui alcuni comitati organizzativi si trincerano, quando difettano di argomentazioni valide. Cosa questa che capita con troppa frequenza, esemplificativa di chi può evitare il dialogo essendo nella favorevole condizione di gestire le cose in modo autocratico.
Non è un fulgido esempio di sportività o di agire edificante, tuttavia rientra tra le cose abituali della giungla podistica, in cui ormai dobbiamo districarci, che taluni organizzatori, e insieme a loro la ditta che gestisce un simile sistema, facciano di tutto per assumere posizioni di privilegio. Dà invece da pensare la circostanza che i comitati tecnici regionali FIDAL non facciano nulla per arginare queste autorità indiscusse, consentendo a cuor leggero l’introduzione di modalità che, in ogni caso, comportano dei costi aggiuntivi per i podisti e per le società, che a loro volta non potranno che scaricarli sui podisti stessi.
Morale della favola, i costi della crisi continuano ad essere a totale carico dei master. Come dimostrano ampiamente i premi in denaro non versati dall’organizzazione di Vercelli, i pacchi gara sempre più raccogliticci, i servizi sempre più lontani da uno standard di sufficiente qualità e l’introduzione di questo nuovo sistema per le iscrizioni che moltiplica le spese di commissione e che di fatto può essere utilizzato a mo’ di trasferimento monetario forzoso.
In definitiva, nulla di nuovo sotto il sole. Sia per chi ne vuole essere consapevole, sia per chi preferisce far finta di nulla.