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Straneo Valeria New York 2012 3 foto Roberto MandelliNon vi è dubbio che la vittoria della Straneo, perché di un trionfo si tratta, è celebrata con grandissimo entusiasmo su tutti i siti web ed i social network, e sta avendo un’eco che va al di là della pur notevolissima prestazione sportiva.

Il fatto è che Valeria è vista, dal mondo degli amatori, come una di loro. La lunga frequentazione di quelle gare su strada che sono affollate e devono il loro successo ai master, ne ha fatta una di famiglia. Più brava, non c’è dubbio, anche prima della fatidica operazione che ne ha cambiato in meglio la vita sportiva, ma pur sempre nella categoria di coloro che stanno al di fuori dal giro delle nazionali. Anche il suo club è un’ottima società, ma non si chiama esercito, aeronautica, fiamme gialle o carabinieri. Ovvero uno dei marchi di fabbrica dei professionisti dell’atletica leggera.

Insomma un’atleta “normale”, come anche Lei stessa pensava di essere prima di scoprire, all’alba dei 35 anni, un potenziale fino ad allora nascosto dalla malattia.

E quindi dalla rinascita noi tapascioni abbiamo subito tifato per lei, in funzione della sua estrazione “proletaria” ed anche della carta d’identità, che proprio dal trentacinquesimo anno di età certifica il possibile passaggio nella famiglia master.

Che dire poi dei suoi modi, sempre gentili e disponibili con tutti? Dei suoi comportamenti da intrusa nell’atletica mondiale? Come i saluti ai tifosi sul percorso alle Olimpiadi, oppure il “cinque” alla compagna Quaglia ad un incrocio della gara di Mosca? Nemmeno fosse alla Mezza di Forlimpopoli (senza offesa per la cittadina in questione). Ma quando mai avevamo visto scene del genere prima? Oppure il candore con cui ha confessato che nella gara mondiale non si era mai girata fino al km 35 e quando si è accorta che erano rimaste solo in due non gli sembrava vero.

E per quello che prima di Londra ci eravamo già mobilitati perché sentivamo puzza d’ingiusta esclusione, a favore di altre pur valide atlete, ma con un prestazioni inferiori, sebbene dal più nobile pedigree. E allora su queste stesse colonne avevamo temuto un autolesionismo alla Tafazzi (clicca qui per l’articolo), che fortunatamente non c’è stato anche se la nostra rappresentante forse è dovuta arrivare nella capitale inglese con un programma di preparazione sbilanciato dalla necessità di fare la prestazione, che poi è diventata record italiano, a Rotterdam.

E quindi l’altro giorno, quando l’abbiamo vista sul podio mondiale, ci è sembrato che lì non ci fosse solo un’italiana, ma anche un’amica, una parente, una che conosciamo personalmente perché tesserata per la nostra società o come una compagna di allenamenti.

Quindi ancora di più un grazie a Te Valeria, che sei dei nostri, per l’emozioni che ci hai regalato. Al momento della premiazione ci è venuto da abbassare la testa come se quella medaglia la stessero consegnando anche a noi.

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