
In particolare, il presidente, rispondendo alle critiche pervenute dopo i Mondiali di Mosca outdoor del 2013 e i Mondiali di Sopot indoor 2014, ha dichiarato: “L'atletica italiana si è provincializzata da morire. Negli ultimi anni è stata uno sport da parrocchia, ma non tutto si può cambiare in un anno”.
Ha poi proseguito: “Le critiche che sono arrivate nei nostri confronti dal presidente (del CONI) Malagò, come da altri sono sacrosante. Noi stiamo lavorando duramente, mandando segnali precisi ai nostri tecnici che, pur eccellenti, da troppo tempo non si confrontano. Zurigo sarà la nostra cartina da tornasole. Ai prossimi Europei bisogna fare risultato. Abbiamo fatto una programmazione in questo senso, facendo un elenco dei quarantanove atleti cosiddetti di punta e dei quasi centoventi che andranno a Zurigo. Da questi pretenderemo di sapere come si stanno muovendo, come si stanno confrontando, cosa stanno facendo, e abbiamo spiegato a tutti che chi fallisce agli Europei è fuori da Rio. Se non si può essere protagonisti a un Europeo, non si può pensare di esserlo a un'Olimpiade”.
Infine, una richiesta: “Ci aspettiamo riforme e finanziamenti importanti da parte del Governo, e chiediamo anche che il calcio venga trattato come le altre federazioni. Se l'atletica prende soldi in base a dieci parametri, non vedo perché debba prenderli in maniera diversa il calcio”.
Dichiarazioni pesantissime, quindi del massimo dirigente federale, che a mio parere sembra scaricare l’intero peso dei problemi della nostra atletica su atleti e tecnici: “troppo facile” direbbe qualcuno, molto triste e riduttivo per la come la vedo io…
A questo punto bisognerebbe chiedersi, forse, quale sia il ruolo della Fidal in tutto questo e cosa sia cambiato e migliorato in un anno e mezzo di presidenza Giomi.
E un ultimo pensiero da semplice appassionato: se un atleta italiano fallisse Zurigo e subito dopo facesse risultati eclatanti, a Rio non andrebbe comunque?