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Rosa Federico e Gabriele Milano Marathon 2015 foto Roberto MandelliCerchiamo di riassumere quanto trapela dalle notizie in arrivo dal Kenya. Dunque, Federico Rosa, interrogato ai primi di luglio (insieme col padre Gabriele, con cui gestisce il team Rosa Associati) dagli inquirenti kenyani, che stanno indagando sui molti casi di doping tra gli atleti locali, malgrado le prime assicurazioni tranquillizzanti è stato invece arrestato giovedì scorso 14 luglio, con l’accusa di aver somministrato sostanze dopanti ai propri atleti (tra i 150 e i 200 sarebbero quelli seguiti complessivamente in Kenya).

Sei sono i capi d’imputazione contestati dal tribunale antinarcotici di Kibera, alla periferia sud-occidentale di Nairobi: in particolare pesa il caso di Rita Jeptoo, vittoriosa  tre volte alla maratona di Boston, due a Chicago e una a Milano, ma risultata positiva all’Epo (e/o al Norandrosterone) nell’ottobre 2014 e squalificata lo scorso gennaio per due anni (insieme a una quindicina di connazionali, non tutti – è bene dirlo – seguiti dal team Rosa). L’accusa sarebbe di “aver complottato allo scopo di somministrare una sostanza proibita mediante un metodo vietato”, a Eldoret tra l’agosto e il settembre 2014, alla Jeptoo, oltre che all’ottocentista Elijah Kiprono Boit.

Federico Rosa si proclama innocente, ma solo lunedì il tribunale si pronuncerà sulla libertà dietro cauzione richiesta; e che, anche se concessa, non gli consentirà di tornare in Italia perché gli è stato ritirato il passaporto. A suo discarico  è intervenuto, in una dichiarazione alla stampa da Montecarlo, uno degli atleti in forza al team, Asbel Kiprop, campione del mondo in carica nei 1500 metri ed oro olimpico a Pechino 2008, anno da cui si trova sotto le cure dei Rosa (che gestiscono anche figure di spicco come Eunice Sum e Jemima Jelagat Sumgong: vedere l’elenco dei principali atleti nel sito rosassociati.it, dal quale peraltro è stato rimosso il nome della Jeptoo).  Va aggiunto che la Sumgong era pure essa finita nella rete dell’antidoping per una positività al prednisolone, un ormone steroideo: prima squalificata per due anni, poi assolta perché il regolamento antidoping della Iaaf consentiva iniezioni locali per combattere i sintomi di borsite, della quale l’atleta soffriva (da aggiungere alla serie, che circola su internet, delle giustificazioni da doping: dentifrici bistecche caramelle rapporti sessuali ecc.).

L’inchiesta ha avuto origine dalle preoccupazioni che si nutrono in Kenya per una esclusione della Nazionale dalle Olimpiadi di Rio, stante una normativa antidoping meno restrittiva di quanto prescrive la Wada, la quale dal 2012 ha portato 38 atleti keniani alla squalifica. In dipendenza di questo, il Kenya nell’inverno scorso è stato disertato dagli atleti inglesi, fino a quel momento abituali frequentatori degli altipiani. Per correre ai ripari, le autorità kenyane hanno intrapreso una forte azione di contrasto, con l’arresto di cinque medici responsabili di aver somministrato sostanze proibite.

Da italiani, ci auguriamo che l’accusa al team Rosa (peraltro già sospeso in Kenya nel 2014 per 6 mesi, e dal quale è stato allontanato il tecnico Claudio Berardelli, sebbene non coinvolto nella vicenda, con la curiosa motivazione della “superficialità” ) si riveli infondata. L’attività dell’équipe fondata da Gabriele Rosa, che  a Brescia gestisce un Marathon Center anche per podisti amatori, e dalla quale sono passati atleti di primissimo piano internazionale come Gianni Poli, Moses Tanui, Martin Lel, Sammy Korir, Paul Tergat e il defunto Sammuel Wanjiru, oro olimpico a Pechino, oltre ad avere ricadute positive sul tessuto sociale kenyano (ad esempio con la scolarizzazione di centinaia di giovanissimi, da un quarto di secolo a oggi), è ben nota anche ai podisti italiani, che negli anni passati hanno  potuto partecipare a maratone come quelle di Brescia e del lago d’Iseo (“Maratona delle Acque”), e nel luglio del 2015 alla maratona della Franciacorta in tre tappe. Più discussa (anche in queste pagine) l’attività di ‘traghettamento’ alla maratona di New York di alcune “pink ladies” guarite dal tumore per opera del team Veronesi: ma non è il caso di riparlarne ora.

E tutte le ragioni affettive che possiamo nutrire non devono però prescindere dal consenso ad una lotta senza quartiere al doping. Per questo, con una frase scontata ma non per questo priva di significato, ci auguriamo che sia fatta giustizia e pulizia in ogni campo.