Due parole di riflessione sul caso di Alex Schwazer, il marciatore squalificato 8 anni dal Tas alla vigilia delle Olimpiadi di Rio per un leggero eccesso di testosterone risultato dalle analisi a sorpresa che hanno colto l'atleta quest'inverno. Il primo aspetto inquietante di questo caso è il labirinto di dubbi che circondano la veridicità del dato, l'appartenenza del sangue (tanto che i legali difensori del marciatore annunciano ricorso alla sentenza per verificare il Dna), e anche il tipo di sostanza contestata, il testosterone generalmente usato da chi si "bomba" i muscoli in palestra con ripetizioni di forza esplosiva piuttosto che da un fondista abituato a lavorare sulla resistenza a bassi-medi ritmi.
La marcia, a differenza dei cento metri o del body-building, è uno sport meccanico "limitato" a determinati ritmi oltre i quali è oggettivamente impossibile andare. La corsa di fondo, ha invece un "range" di ritmi più ampio nella scala migliorativa di un atleta. Quindi, di per sé, ritenere che un marciatore come Alex, per altro già squalificato in passato per doping, ricorra all'ormone della crescita per praticare una disciplina di endurance, è abbastanza improbo per non dire ridicolo. Soprattutto se a seguire un atleta ri-convertito allo sport pulito dopo essersi pubblicamente martirizzato e scusato, sia un allenatore come Sandro Donati. Un fondista, semmai, ricorre a sostanze che abbassano il livello di fatica tipo l'eritropoietina, che infatti ha rovinato la carriera a decine di maratoneti, anche di livello amatoriale.
Allora, i dubbi di un complotto sulla breve storia della seconda (e definitiva) squalifica per far fuori un personaggio "smacchiato" come Schwazer, rimangono. Rimangono al di là del rispetto che meritano le sentenze. Diverso è il diritto di critica alle sentenze. Ecco, da questo punto di vista l'impressione che l'unico vero "dopato" in questa vicenda sia stato il metodo col quale si è arrivati alla clamorosa squalifica di Schwazer è forte, per non dire lampante.
La lezione che mi sento di trarre sul caso Alex, è che sia stato usato un pretesto per escludere un atleta sì sdebitato con la giustizia sportiva, ma troppo esposto a una credibilità compromessa. Dunque se così fosse stato, sarebbe il caso di rivedere le regole sugli ex dopati, iniziando dall'istituzione di un "ergastolo sportivo". Ossia, una squalifica a vita senza appello per tutti i dopati indistintamente. Oppure una riammissione alle gare federali ma col divieto di rappresentare il proprio Paese in rassegne internazionali come le Olimpiadi.
Del resto, riammettere alle gare un ex dopato significa minare la credibilità del mondo sportivo e sbarrare la strada a chi il doping non sa cosa sia. La fiducia, una volta persa è persa. Ci vorrebbe più coraggio per evitare altri casi Schwazer. Perché di precedente in precedente, anche la fiducia verso la nostra amata atletica va sotto il tacco-punta.