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“Se la notte sogno, sogno, sogno di essere un maratoneta”, scriveva Eugenio Montale. E i sogni dei maratoneti si sono infranti contro la ferocia del terrorismo in un lunedì nero che ha visto la fine dell’innocenza.Non ricordo (mi potrei sbagliare) una strage del genere riguardo a gare su pista o corse su strada. Mi viene in mente una canzone di Claudio Lolli a proposito dell’orribile giornata alla stazione ferroviaria di Bologna del 1980: “Piazza, bella piazza, ci passò una lepre pazza…” La fine dell’innocenza può essere una giornata che, all’improvviso, da festa popolare, cambia drammaticamente e diventa una strage. Strategia della tensione? Riproposta dell’undici settembre? Il messaggio qui sembra ancora più inquietante: siamo talmente al di sopra del bene e del male che mettiamo esplosivi uccidendo la dimensione più ludica, più spontanea dello sport: la corsa. Ci permettiamo di uccidere la voglia di uscire di casa, di stare insieme agli altri correndo, oppure di gareggiare. Non avrai altro uso del tuo fisico se non quello di avere paura, di tremare per lo spavento, oppure (più sottilmente) di diffidare di tutti. E quindi anche di te stesso.Il terrorismo punta anche a questo: a isolare, a distruggere la partecipazione. Penso che, comunque, la grandiosa spinta che dà lo sport alla fine prevarrà sulla furia cieca e irresponsabile di qualsiasi tipo di fanatismo o disegno destabilizzante. Continueremo a correre, a percorrere quei 42,195 chilometri che continueranno a essere più forti di qualsiasi paura.