
51 anni, tesserato per la Sintofarm, lavora presso il Magistrato del Po. Lo abbiamo trovato telefonicamente proprio nel momento in cui ritirava le medaglie per i suoi compagni di viaggio che non sono arrivati al traguardo.
“E’ vero – dice Benatti – l’organizzazione ha deciso di consegnare ugualmente le medaglie anche a chi non è arrivato e mi sembra un bel gesto”.
Ma di lunedì cosa ricorda?
“Davvero terribile e incredibile, io credo di potermi ritenere un sopravvissuto. Pensi che avendo chiuso in 3 ore e 50’ ero arrivato da poco ed avevo i crampi. Mi hanno detto che potevo usufruire dei massaggiatori della Croce Rossa, proprio in zona arrivo, ma ho preferito camminare verso il mio albergo dopo aver ritirato la medaglia”.
“Davvero terribile e incredibile, io credo di potermi ritenere un sopravvissuto. Pensi che avendo chiuso in 3 ore e 50’ ero arrivato da poco ed avevo i crampi. Mi hanno detto che potevo usufruire dei massaggiatori della Croce Rossa, proprio in zona arrivo, ma ho preferito camminare verso il mio albergo dopo aver ritirato la medaglia”.
E poi?
“Mi ero avviato da poco che ho sentito due esplosioni terribili a distanza di pochi secondi. Non ho visto direttamente le scene, ma subito si è sparsa la voce della bomba ed io mi sono rimesso a correre verso l’albergo che dista poco più di un chilometro”.
I suoi amici, però, erano ancora sul percorso?
“Certo, non temevo per Pavesi che l’avrebbe fatta intorno alle sei ore, ma Carletti e Melloni potevano veramente essere in zona. Ho provato a chiamarli, ma non si riusciva, mentre dall’albergo con internet ho contattato la mia agenzia e la mia famiglia per tranquillizzare tutti”.
E quando ha avuto notizie dei suoi compagni di viaggio?
“Loro sono stati fermati al 41° chilometro e scortati nei pressi dell’arrivo. Così dopo circa tre ore ci siamo ritrovati. Poi la sera ci hanno quasi ordinato di restare in albergo”.
Lei che impressione si è fatta?
“Guardando le immagini sembrava di vedere quelle dell’11 settembre, fuoco, fumo, sangue, davvero scene tremende. Forse gli ordigni non erano potentissimi, ma è stato un agguato preparato. C’eravamo in 27.000 atleti, oltre a spettatori e familiari e chi conosce queste gare sa che la massima affluenza al traguardo è intorno alle quattro ore. Poteva davvero essere una strage”.
Si poteva ipotizzare qualcosa?
“Assolutamente no, io ero qui anche l’anno scorso ed è sempre una festa, la definirei una scampagnata. Molto più tranquilli che a New York. Niente faceva presagire una cosa del genere ed i controlli non erano molto accurati”.
Del resto, come si possono controllare 42 chilometri di strade? Anche durante le olimpiadi vinte da Baldini, un pazzo fermò il battistrada e la sicurezza intervenne solo dopo…
“Certo, i servizi erano efficienti, come lo sono stati anche dopo e immediati. La gente è stata vicina anche a noi, le racconto l’aneddoto della cena”.
Prego.
“La sera siamo andati in un ristorante e quando hanno capito che avevamo corso la maratona, ci hanno offerto un dolce con scritto sopra <Marathon congratulations>; ci siamo davvero commossi”.
Lei aveva già detto che sarebbe stata l’ultima maratona.
“Lo confermo, anche se sa, poi noi podisti siamo un po’ falsini. Ne ho corse 22 ed avevo deciso di chiudere: con questo non voglio dire che non corro più, anzi, ma mi limiterò al massimo alla maratonina (mezza maratona, n.d.r.)”.
Anche all’estero?
“Perché no? Per fermare noi podisti ci vuole davvero ben altro. La corsa ce l’abbiamo dentro, io sono già tornato a correre oggi qui al parco vicino all’arrivo; ci sono molte televisioni, agenti e anche l’esercito ma in città si vive normalmente”.
Quando rientrate?
“Domani (oggi per chi legge, n.d.r.) in serata, di certo sarà un’esperienza che non potremo dimenticare”.