Correre fa bene, correre fa bene, correre fa bene… Balle, colossali balle!!!
E’ ora di squarciare il velo di omertà sulle possibili ricadute negative della corsa e quindi a costo di perdere lettori ed inserzionisti del settore, prendiamo volentieri ad esempio quanto accaduto domenica scorsa a Milano per raccontare tutta la verità.
Il malcapitato è Carmelo Vergata, che la società di cronometraggio indica come tesserato per “Le Marmotte”, anche se dal database FIDAL, la società corretta sembrerebbe l’Atletica VCA. Pronti comunque ad effettuare le rettifiche del caso (ndr: leggi nei commenti una precisazione del Presidente VCA Giuseppe Crudo), pur di assegnare al corretto gruppo sportivo questo valente atleta MM 50 che ha chiuso la maratona con il crono di 3h31’42”. Non a caso il real time è di soli 7 secondi in meno, a testimonianza della volontà di Vergata di partire tra i primi per “fare il tempo”, come si dice in gergo.
Buon risultato, ma a che prezzo? Le immagini riportate e che lo mostrano al chilometro 7 e poi all'arrivo sono emblematiche. Pur di portare a termine la prova, il volto dell’atleta col pettorale 2016 si è letteralmente trasformato. Sembra quasi un’altra persona. Immaginiamo la scena, quando sarà tornato a casa festante per il risultato conseguito ed i famigliari che avranno fatto fatica a riconoscerlo.
Ora la domanda sorge spontanea: ma ne varrà la pena? No è la nostra risposta. Anche se c’è chi paventa delle ombre. Si tratta di Francesco Pappalardo che ci ha fatto pervenire la segnalazione e per la quale lo ringraziamo. Secondo il lettore, si tratterebbe di uno scambio di persona. Noi ci dissociamo fermamente da questa ricostruzione. Tra l’altro tra la prima e la seconda parte della gara, le prestazioni mostrano un certo calo, a testimonianza dello sforzo effettuato e della crescente fatica.
Pappalardo tuttavia insiste su questa posizione, mostrandoci anche analoghe immagini di una simile trasformazione del Vergata avvenuta nel 2014 sempre alla Milano Marathon. A nostro avviso questa non è che una conferma della nostra tesi, ovvero che sotto sforzo prolungato, l’atleta in questione prende altre sembianze, salvo poi tornare ai suoi lineamenti una volta ben riposato.
Quanto al fatto che nel 2014, oltre a Carmelo, Pappalardo ci faccia notare che la stessa disavventura sia capitata anche ad un altro atleta che di cognome fa sempre Vergata, non può che far propendere per la tesi di una malattia ereditaria. Oppure di un semplice caso di omonimia.
Restiamo comunque a disposizione per accogliere le Vostre impressioni ed eventuali dichiarazioni dei protagonisti della curiosa vicenda.
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