Una sola edizione, unica e irripetibile! Hoc erat in votis. Saranno di parola? Ne dubito, essendo la ciambella riuscita col buco. Avranno tutto da guadagnare nel sostituire la Belluno-Feltre con La Piave Marathon. Vuoi mettere una distanza di 30 km, che non sa né si carne né di pesce, con quella classica di 42,195 km? La risposta l’ha data il mercato: la maratona ha raccolto un numero di iscritti tre volte superiore della Belluno-Feltre, che si corre da 10 anni. Oltretutto, riempirebbe un vuoto, essendo Belluno con Rovigo l’unica provincia veneta senza una maratona. Ne gioverebbe il turismo perché entrerebbe nei circuiti internazionali, mentre la distanza spuria la lascerebbe nel limbo delle manifestazioni provinciali.
E’ ragionevole pensare che il motivo dell’organizzazione della maratona non sia stato quello debole della celebrazione della 10^ edizione della Belluno-Feltre, un numero piccolo e insignificante rispetto alla 44^ del Mugello, alla 45^ del Passatore, alla 121^ di Boston, per non parlare dei numeri personali dei concorrenti presenti in gara che parlano di 982 e di 737 maratone/ultra in carriera. Mi piace pensare che l’unico scopo della maratona sia stato quello di ricordare il 100° anniversario dell’epopea del Piave, fiume Sacro alla Patria attraversato dal Ponte degli Alpini e dal Ponte della Vittoria a livello di Belluno. La Canzone del Piave, composta da E. A. Mario, autore di famose melodie napoletane, fu inno nazionale dal 1943 al 1946, e fu sostituito dall’Inno di Mameli da Alcide De Gasperi, offeso perché il musicista si rifiutò di comporre una canzone per la Democrazia Cristiana. Anche il Vate si cimentò col Piave: “Non c’è più se non un fiume in Italia, il Piave; la vena maestra della nostra vita. Non c’è più in Italia se non quell’acqua, soltanto quell’acqua, per dissetar le nostre donne, i nostri figli, i nostri vecchi e il nostro dolore”.
Il Piave, protagonista nella prima guerra mondiale, è stato la linea direttrice di tutta la maratona. Fino a Belluno si è tangenti alla sua riva sinistra, una lingua d’acqua in un vasto letto ghiaioso serpeggiante tra montagne boscose con aspre cime e verdi colli degradanti al fondo della valle. Non sempre il Sacro Fiume è visibile, ma quando scompare sono i suoi affluenti a sostituirlo, e l’acqua non ci abbandona mai. Ed anche gli altissimi dossi, sterrati o asfaltati, non finiscono mai, mettendo a dura prova quadricipiti e polpacci. La strada è stretta e sinuosa, e bisogna delicatamente lavorar di gomito per farsi strada. In vista del capoluogo, il paesaggio si fa meno rustico, lo sterrato scompare, la strada diventa ampia e le file si allargano. E’ una fortuna che il Ponte degli Alpini abbia una alta ringhiera di protezione, da quell’altezza una crisi vertiginosa potrebbe sorprendere chi ha un apparato labirintico sensibile. Belluno, situata a metà percorso e posta su un alto sperone, è come una ciliegina sulla torta di questa maratona. Piazze e vie pittoresche, portici a non finire, case gotiche, altissimo abside del duomo e spettacolari scorci improvvisi sul fiume, che qui riceve il torrente Ardo e diventa ampio.
A livello del Ponte della Vittoria, si volgono le spalle alla città, ci si porta alla sinistra del corso d’acqua e il serpentone multicolore sciama in Val Belluna. Permane un certo sapore agreste, ma la frizzante area di montagna è scomparsa. Più che le vette, sono alti gli slanciati campanili cuspidati che s’innalzano sulle case. Anche questa seconda metà di maratona ha le sue difficoltà altimetriche, ma gli ultimi chilometri sono proprio in discesa, e taglio in traguardo con ampie falcate con la mia mano in quella di Ilaria Razzolini.
Ha funzionato il mio chip nel tagliare il traguardo? E’ la domanda che mi pongo quando non vedo il mio nome inserito fra gli arrivati. Poi mi rendo conto che c’è un buco nella classifica: nessuno avrebbe tagliato il traguardo fra le 4:00 ore e le 4:19, mentre ho concluso la gara in 4:06:26 (4:05:42 tempo reale), preceduto e seguito da decine di concorrenti. Sperando nella rettifica della classifica, me ne vado sulla linea del traguardo ad attendere l’arrivo dell’altra metà. Il cielo comincia a rabbuiarsi e raffiche di vento scuotono archi gonfiabili e teloni.
Quando ritorno nel tendone del pasta-party ove sono in corso le premiazioni, mi dicono d’essere stato già chiamato come primo di categoria. A cerimonia conclusa, alla chetichella mi viene consegnata una confezione di 6 kg di formaggio Piave e un bustone contenente bottiglia di Prosecco, di birre, ancora formaggio, vestiario tecnico, ecc. Pioviggina nel prendere la navetta che mi porterà a Belluno, scelta da me come base logistica.
Bisognerebbe correrla al contrario, questa maratona. E’ più eccitante inseguire il Fiume Sacro verso le sue sorgenti e avere le montagne davanti mentre diventano sempre più alte. L’impegno fisico non sarebbe maggiore, nonostante si andrebbe dai 264 m di Busche ai 434 m di Fortogna. L’altimetria conta poco in questo percorso, caratterizzato da continui saliscendi senza un metro di piano. L’arrivo sarebbe, poi, al davanti del cimitero delle vittime del Vajont. Pertanto, celebrato quest’anno il centenario della resistenza sul Piave e l’inutile strage della prima guerra mondiale, nelle prossime edizioni il mondo della corsa andrebbe a rendere omaggio ai morti di una strage consapevole. Per non dimenticare.