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Rioveggio Ecomaratona di Monte Sole 2017 a

SERVIZIO FOTOGRAFICO

 

Cielo grigio, capelli grigi…

 

Fino a qualche anno fa, il 1° ottobre era il fatidico giorno in cui si cominciava la scuola, e gli scolaretti di prima erano chiamati “remigini” (da S. Remigio, uno dei santi del giorno). Oggi la scuola non si sa più in che giorno cominci, e ne escono scolari che alla fine della prima non sanno ancora scrivere in corsivo e restano grati a don Milani perché nessuno viene più bocciato. In compenso, questo 1° ottobre in cui Bologna è stata ipnotizzata dalla visita del Papa, e l’area di Monte Sole depressa dalla visita del ministro-bambino Orlando, la zona di Rioveggio (235 metri s.l.m., stazioncina ferroviaria e minuscolo casello autostradale della ‘vecchia’ A1 Bologna-Firenze) ha visto riproposta la ecomaratona di Monte Sole, che vuole anche celebrare la ricorrenza di una delle stragi più crudeli dell’ultima guerra.

 

Gara dichiarata alla terza edizione: l’avevo corsa nel 2015 quando era stata proclamata come prima (sebbene ci fosse stato una “numero zero” l’anno precedente); nel 2016 era saltata a poche settimane dal via; adesso invece Gianfranco Gozzi, ideatore delle tre maratone di Calderara (che dal 1997 suppliscono all’assenza indecente di una maratona a Bologna città), ha tenuto duro, e con Claudio Bernagozzi (che con molta fatica e per ora scarsa audience sta tentando di riportare una 42 km a Bologna) ha allestito al meglio - almeno per quanto si possa ottenere da una organizzazione poco più che famigliare - questa gara, registrando anche un piccolissimo incremento di partecipazione. 82 erano stati classificati nel 2015, 84 oggi (ma erano stati 96 nella “zero” del 2014), di cui 16 donne contro le 9 di due anni fa. A questi numeri si aggiungono i 119 nella mezza maratona, contro i 69 del 2015.

 

Le maratone bolognesi di montagna hanno una tradizione stentata: per due o tre anni ciascuna se ne corsero a Castiglione dei Pepoli (qui vicino) e a Granaglione (regno di Guccini al confine con Pistoia), più l’aggiunta di un “trail del Malandrino” da Prato a Pracchia all’Abetone; ma non hanno avuto seguito. Sopravvive quella di Suviana (erede di Castiglione dei Pepoli), non a caso organizzata dallo stesso Gozzi, e abbinata a Rioveggio in una classifica cumulativa.

 

Quasi tutto nuovo il tracciato, allungato (perché i 39 km dati dai Gps nel 2015 ora sono diventati “quasi” 42); purtroppo per molti l’allungamento è stato assai più ampio, causa un errore di percorso al km 14 che ha coinvolto una buona metà dei corridori, quelli che stavano davanti. In pratica, a un bivio privo di segnalazioni la mulattiera di sinistra esibiva varie bandelle pendenti dagli alberi, seppure in mancanza di frecce o altro, mentre sulla strada principale non c’erano segnali. Ci siamo dunque buttati su per la mulattiera, accorgendoci però, chi dopo un km, chi di più,  che i segnali finivano. Alla consueta scusa biascicata da qualcuno e ormai credibile come gli annunci di Renzi (“i cacciatori hanno spostato i segnali” – basterebbe usare lo spray o i pennelli per terra e sugli alberi!) si è alla fine sostituita quella più ragionevole: erano segni lasciati da un paio di camminate locali, da Vado o Marzabotto (che io stesso avevo corso qualche volta).

 

Risultato ‘tecnico’ simile a quello di quando entra in pista la safety car: i distacchi faticosamente acquisiti sono stati azzerati, e non voglio dire quanto siano veritiere le classifiche finali, sentendo qualcuno che negli spogliatoi diceva di aver fatto 5 km in più. Insomma, quelli dei miei paraggi, a occhio e croce almeno 30-40, al km 14 ufficiale hanno ricominciato la gara quasi da zero; e se mi sono trovato affiancato a qualcuno che solitamente mi arriva un’ora dietro, nei restanti 28 km sono riuscito a dargli 45-50 minuti di distacco (questo, ovviamente, sia detto nell’ambito delle nostre sfide goliardiche che poi si risolvono in amicizia durante il pasta-party).

 

Percorso decisamente cambiato rispetto al de cuius: immutati i primi e gli ultimi 4 km, sulle strade asfaltate che da Rioveggio portano a Grizzana: magari sarebbe stato utile che, arrivando per il ritorno, non avessimo trovato ancora le segnalazioni dell’andata che ‘tentavano’ di rimandarci su per i greppi. Negli ultimi km, anche per la carenza di sbandieratori nonché di segnali appositi, ci siamo dovuti aiutare con la memoria di dove eravamo passati 4-5 ore prima. Per il resto c’era molto più sterrato di prima, sebbene l’altimetria finale dichiarata (1500 metri in su e in giù: 1425 secondo il mio Gps) fosse addirittura inferiore ai 1560 del 2015. Infatti i tempi finali sono stati superiori anche di mezz’ora o più rispetto ad allora, mettendo nel conto – s’intende – pure il percorso supplementare erroneo. Giro gradevole, con un brivido di sgomento nell’attraversare l’abitato devastato durante la rappresaglia del 1944 passata alla storia sotto il nome di “Marzabotto”; e bei panorami per il resto, specie quando ce li lasciavano vedere le nubi (che per fortuna hanno scaricato acquerugiola solo nella prima ora).

 

Assenti le spugne malgrado l’annuncio ufficiale, i ristori erano quasi secondo le regole (km più, km meno: ma l’oscillazione era notevole anche nelle tabelle chilometriche, che distavano tra i 900 e i 1200 metri; fra il 36 e il 38 ci hanno regalato un buon mezzo km), e discretamente forniti (quello vicino alla stazione di Grizzana, circa km 35, era stato irrobustito rispetto allo stato miserando del 2015); magari un tè tiepidino ogni tanto poteva risultare utile, visti i 14-15 gradi circa, l’altitudine di 800 metri raggiunta al km 26, e la pioggerellina già citata. Per scaldarmi è stato utile il vino bianco che mi ricordavo essere offerto su richiesta in una fattoria di campagna verso metà gara, all’inizio del tratto più ‘trail’ di tutta la corsa.

 

Quanto alla definizione della gara, “ecomaratona” è un’etichetta un po’ larga, dove ci stanno dentro i trailer e i maratoneti da città; definirla “trail” era un po’ troppo, dato che l’asfalto ha caratterizzato a occhio e croce metà della lunghezza complessiva. Forse “sky marathon” avrebbe dato maggiormente l’idea.

 

Ma i partecipanti erano da bosco e da riviera: la maggioranza veniva dal Club Supermarathon, il cui presidente Gino sovrintendeva alla parte fotografica con l’ausilio del rinomato Sergino Tempera da Milano già apprezzato alle maratone di Orta; ed il cui ex presidente Luciano Bigi (organizzatore della maratona Alzheimer di due settimane fa) ha corso come di consueto in appoggio alla moglie Monica, ed al famigerato bivio era tra i pochi che aveva capito lo sbaglio. Per completare il club, va ricordato che anche Gozzi ne è stato presidente; né potevano mancare a Rioveggio il segretario-contabile ingegner Liccardi, una settimana fa a Berlino (dove è stato alleggerito del portafogli ma se l'è cavata sportivamente), colui dal cui computer dipenderà l’ “omologazione” dei risultati ai fini delle classifiche mondiali; e il primatista italiano ‘quantitativo’ Ancora. C’erano anche Hartmann Stampfer, il sudtirolese che non si ripete mai, e oggi ha corso la 300^ maratona; e papà/figlio Paolo/Mauro Malavasi: ho corso la prima metà della maratona col padre e la seconda col figlio, sentendomi quasi (perdonerete il paragone) come Puskas, che giocò con Mazzola padre e poi con Mazzola figlio.

 

Assenti le due miss dell’associazione (Luisa Betti e Greta Massari), il ruolo di più simpatica e attrattiva è stato assunto dalla estroversa Isabella Introcaso, una comasca che viaggia verso le 250 maratone; mentre la più carica di gloria era la cernuschese Rita Zanaboni, che sta sulle 450, con risultati importanti nei suoi anni verdi, e oggi vincitrice della propria categoria (vabbè, la concorrenza non era travolgente: a volte le categorie femminili consistevano in un solo membro).
Siccome noi maschi non ce li tingiamo, ad abbondare erano i capelli grigi o le pelate alla Minniti: su 68 uomini, 16 erano M 60, 10 erano M 50, 8 sia gli M 55 sia gli M 65, con 4 M 70 e un M 75; tra le donne, la categoria più numerosa erano le F 55, ben quattro; dunque, si direbbe che una sola donna delle 16 partecipanti sia tornata a casa senza le bottiglie di vino assegnate come premio.

 

Le classifiche assolute, con la tara che si è detta sopra (e l’assenza di rilevamenti chip alla partenza e lungo il percorso), vedono vincitore il romagnolo Antonino Guadagnino in 3h 33, ben 26 minuti davanti alla coppia imolese Menna-Marabini. Quarta assoluta e prima donna, la trailer mugellana Marta Doko, mezz’ora davanti alla bolognese Anna Giunchi (sesta in classifica generale), e un’ora e un quarto prima di Delia Costantini (dodicesima assoluta).

 

Ma per aspettare gli ultimi il buon Tempera (dopo essere andato, con Gino, pure lungo il percorso) è rimasto sul traguardo 8 ore e un quarto, mentre noi finisher eravamo confortati per fortuna da docce calde e da un pasta party semigratuito: nel senso che alla pasta e acqua comprese nel prezzo di iscrizione (fra i 30 e i 40 euro che davano diritto a maglietta tecnica, piadine e altri generi alimentari) potevamo aggiungere altri generi di conforto a prezzi molto modici (5 euro per salsiccia e patate fritte o un litro di vino, ad esempio).

Siamo rimasti a lungo nel confortevole salone ricavato sotto un mastodontico ponte dell’autostrada, a darci appuntamento per i prossimi eventi: domenica 8 la defezione di Carpi ha fregato molti (gli inconsolabili affetti da maratonite  si adatteranno a una 6 ore in pista a Campobasso), mentre fra due settimane sembra che la maggioranza si rivedrà a Parma, sebbene la concorrenza sia agguerrita, e generalizzati gli sconti per i supermaratoneti. 

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