Cambia il traguardo, restano i difetti
Un’amica, ad agosto, mi manda un messaggio chiedendomi se sia disposto a fare la 100 km delle Alpi. La gara non era mai stata da me presa in considerazione, vuoi perché tutti me ne parlavano male e vuoi perché in prossimità dell’ultratrail “Vie di San Francesco” previsto a fine ottobre.
Però… il tempo di valutare il da farsi (qualche minuto) e le rispondo accordandole il consenso, soprattutto per la necessita di allenarmi su di una lunga distanza come questa; e ciò si può fare solo partecipando a questo tipo di gare e non certo da soli. Mi ha sempre solleticato, inoltre, l’idea di tornare a visitare una splendida città come Torino (da cui prende il via la gara), ricca di cultura e di arte, ed entrare nel rinnovato museo egizio. Come non approfittare di questa ghiotta occasione che porta ad unire lo sport alla cultura, come cerco di fare ogni volta che eventi si svolgono nelle belle città?
Signora della notte e dei misteri, dall'eleganza non ostentata e dalla personalità criptica, di Torino si è scritto e parlato tanto: salotto ai piedi delle Alpi, stemma dell'antica identità aristocratica, prima capitale del Belpaese, poi laboratorio del cinema e della moda, metropoli industriale e icona del magico, con un tocco di underground. Torino è per amanti del “bello” nel vero senso della parola, per collezionisti di opere d’arte. Il vecchio salotto torinese è un amante con la “A” maiuscola, un seduttore di cuori e anime nel cui fascino è impossibile non restare imprigionati.
E così, raggiungo l'ampia Piazza Castello dopo aver camminato sotto i suoi seicenteschi portici, da Via Roma passando per Piazza S. Carlo. Ciò è equivalso a sfogliare le pagine di un pezzo della sua storia.
Dopo un meritato break in un ristorante del centro, mi avvio verso un'avventura museale che ha indubbiamente la sua casella di partenza nella pedonale Via Accademia delle Scienze, davanti al Museo Egizio: secondo al mondo nel genere dopo Il Cairo, rinnovato interamente nel 2015. Trascorso il pomeriggio di venerdì come da programma, ci ritroviamo a sera con gli amici ultrarunners giunti da Manfredonia presso un locale per fare il solito pieno di carboidrati.
La mattina, un bellissimo sole risplende sui palazzi della piazza, considerata fra le più belle d’Italia e alle 10 in punto viene dato il via alla 8^ edizione di questa gara, che stavolta non ci condurrà a Saint-Vincent, bensì a Foglizzo.
Un breve percorso cittadino lungo la Dora ed entriamo in un parco per avviarci poi verso la zona industriale tramite una trafficatissima strada piena di smog. Siamo costretti a correre ai margini della strada con il frastuono dei molteplici mezzi pesanti: autoarticolati, trattori e altri macchinari agricoli dalle ruote enormi, tra la sporcizia di una strada di tal fatta. Tutto ciò non è piacevole, almeno per me, abituato a correre in mezzo alla natura; ma, almeno la giornata è bella e la vista è allietata da una panoramica sulle Alpi Graie, sulla val de la Vanoise e il Gran Paradiso. Attraversiamo il paese di Lombardone per raggiungere poi Agliè, posta su di un altura con al centro il suo Castello ducale, elegante ed imponente costruzione che si affaccia su una bellissima piazza. La costeggiamo per ridiscendere verso Vidracco, allungarci sino a Vistrorio e poi Baldissero Canavese, da dove inizia la salita verso il punto più alto dell’intero percorso, i 618 metri di Alice Superiore: e siamo al Km 50. La salita è dolce, il dislivello su un tratto di 10 Km è di soli 250 metri circa (dai 350 m della base).
Da lì parte la discesa verso Lessolo, ultimo comune del vecchio percorso; poi, una volta giunti a valle, un dolce falsopiano ci accompagnerà attraverso i nuovi comuni del percorso, Fiorano, Loranzè, Colleretto Giacosa, Perosa Canavese, Scarmagno, Romano Canavese, Strambino, Crotte, Vische.
Il sole incomincia a tramontare e tinge il cielo di rosa. Incomincia a far freddo, complice la stanchezza che fa sentire ancor di più la solitudine. E’ notte ormai, e le nostre frontali a stento bucano il buio nero come l’inchiostro che si fonde con la strada rischiarata dai fari delle innumerevoli automobili; oltre all’illuminazione sulla fronte, son dotato di un lampeggiante posteriore, spero solo che notino la mia sagoma che viaggia tra la linea bianca che delimita la strada e il ciglio, un’impresa acrobatica per evitare di finire nel fosso di scolo.
Poi di nuovo la strada a scorrimento veloce, l’attraversamento del viadotto sull’autostrada, le molteplici rotonde, l’odore nauseabondo degli scarichi delle auto a cui si aggiunge, ciliegina sulla torta, la “morte” del gps, la cui batteria ha esaurito la carica. Son costretto dunque ai ristori a chiedere quale è la distanza effettiva da percorrere, ma qui gli addetti si sa che non ti diranno mai il vero.
Siamo a Caluso, dalla piazza dove è riunita una folla ad attenderci si ode la musica degli altoparlanti. Dovrebbe mancar poco, secondo la mappa altimetrica: ora c’è la discesa, ma quel che ci aspetta si rivela come uno dei tratti più insidiosi. La strada è stretta, buia e fa freddo, l’umidità della campagna ci entra nelle ossa; per fortuna mi raggiungono Mimmo ed Antonio. Il rettilineo in leggera salita è interminabile, si intravedono le prime case, non vedo l’ora di terminare per cui aumento il passo per quel che posso. Come mi è capitato in tanti traguardi, preso dall’euforia dell’arrivo sbaglio strada, e allora torno indietro. Nuovamente si sente la musica, ma questa volta è quella ‘buona’, che ci accoglie alla fine del cammino, ai piedi del castello di Foglizzo.
Che dire? Percorso abbastanza brutto e pericoloso, indicazioni a volte quasi inesistenti, ristori all’altezza a parte la mancanza di qualcosa di salato, ma soprattutto di caldo durante la sera.