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Una gara vissuta da pacer.
La figura del pacer, una figura che siamo abituati a vedere associata alla maratona, ma che adesso sta prendendo piede anche su altre distanze come alla Stralugano (30 km) e le mezze maratone. Alla mezza delle Groane l’abbiamo proposta ed è stata un successo e allora abbiamo pensato di proporla anche all’organizzatore dell’Alpin Cup che, dopo averci pensato su un po’, ci ha dato il suo consenso per organizzare i pacer da 1h30 fino a 1h50. Il compito di trovare le persone giuste è affidato al mio compagno, Simone Busetto, che mi coinvolge nella ricerca, ricerca difficile perché non si può sbagliare, non si deve sbagliare. Dopo una selezione attenta arriviamo a costituire il gruppo dei pacer completo, un bel gruppo affiatato e tra loro alcuni miei compagni di allenamento della Virtus Senago. Il grande speaker Gianni Mauri ci chiama in partenza per una foto di rito tutti insieme e poi ogni gruppetto di pacer si separa per svolgere al meglio il suo dovere, ovvero, portare il loro gruppo nel tempo stabilito all’arrivo. Alle 9.40 lo sparo si parte. Io, Stefania e Fabio siamo i pacer dell’1h45, il mio attuale passo maratona per intenderci e quindi per me anche un buon allenamento in vista di Firenze. Sono parecchio influenzata, ma non potevo non correre oggi, avevo un impegno, un impegno verso gli altri e mai e poi mai mi sarei tirata indietro.  Il fatto di essere così ammalata mi preoccupa un po’ e allora opto per fare quello che difficilmente mi riesce ovvero stare  parlare solo per sentire come stanno i ragazzi dietro, ma ci sono Stefania a Fabio che pensano a intrattenere i  ragazzi. Dopo un km mi giro e siamo un plotone, di circa 30 runners convinti e determinati. Viaggiamo regolare a 4.57/4.58 e ogni tanto dal fondo al gruppo qualcuno grida “bravi pacer” e questo mi rincuora e mi dà fiducia sul fatto che stiamo gestendo tutto al meglio. I km scorrono tra qualche chiacchiera con qualcuno che ti racconta del suo ultimo personale e che chiede se farà meglio e tutto prende una sfumatura meno competitiva, più divertente e, per una volta, non penso più a me stessa, a fare il tempo ma penso a loro, al loro personale, alla loro sofferenza per ottenerlo e tutto questo mi emoziona fortemente e penso a quando io, come loro, parto per fare il tempo, ai sogni per raggiungerlo e a quegli ultimi metri dove dai tutto per ottenere quella gioia così difficile da spiegare, ma che noi runners sappiamo benissimo quanto valore abbia. Ai ristori li esortiamo a bere, a cercare di bere senza fermarsi: sembra facile, ma non lo è. Dopo ogni ristoro il compito è quello di ricompattare il gruppo che, ovviamente, si scompone un po’.
Al 19esimo chilometro transitiamo in anticipo di qualche secondo sui tempi previsi, ma loro ci sono ancora tutti, determinati come al primo km. Qualcuno ha già aumentato il suo passo e ci ha lasciato perché, come si dice in gergo, “ne aveva” mentre altri sono lì pronti e aspettano che tu gli dica: “adesso vai!” Di fianco a me c’è un ragazzo, non rammento il suo nome e me ne scuso, che mi dice di avere di PB 1.45.28 fatto a Genova e che vorrebbe migliorarlo anche di poco. Lo guardo, sta bene, si vede che può fare meno del suo PB e allora mi giro verso Stefania e le dico occuparsene e lei lo sprona e al 20esimo gli dice di andare e lui aumenta un po’ ma è sempre poco davanti a noi perchè teme di non farcela. Gli diciamo allora di aspettare ancora un po’ e a 300 metri dall’arrivo gli urliamo di andare  e lui, insieme a qualche altro del nostro bel gruppo, parte in questa lunga volata, incoraggiati dalle nostra urla.  Incrocio il mio sguardo con quello di Stefi e di Fabio e ci emozioniamo pensando a quello che stanno provando in questo momento a quelle emozioni uniche che regala un personale e alla gioia di raccogliere i frutti dei tuoi sacrifici. Sensazioni che per me solo la corsa in un certo senso è in grado di regalarti, quel senso di libertà unico e difficile da descrivere.
Tagliamo il traguardo in 1.44.43, quasi perfetti e con il nostro gruppo è uno scambio di abbracci, i ragazzi sono al settimo cielo e noi siamo felici per loro.
Quante emozioni domenica all’Alpin Cup. Per me che vivo la gara in modo troppo competitivo, sempre alla ricerca di migliorarmi è stato un modo diverso di vivere la corsa, un’esperienza bella, forte e che spero di poter ripetere.
Personalmente credo che sia bella l’idea di utilizzare i pacer anche nelle mezze maratone perché è un valore aggiunto alla gara e un aiuto prezioso per chi vuole correre a una certa andatura.