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Libro Lorenzini CopertinaÈ lecito pensare che, se il direttore di una testata scrive circa il libro di un consocio (oltre tutto già presentato su queste colonne dal collega Rodolfo Lollini), la marketta è in agguato. Chi avrà la pazienza di arrivare in fondo a queste righe e soprattutto al libro, giudichi liberamente. Il mercato dei manuali sulla corsa è inflazionato: a parte i libri ‘seri’, le “Bibbie”  made in Fidal o dalle Edizioni Correre, ne ha scritto uno perfino Susanna Messaggio (Correre: dalla poltrona alla maratona in 9 mesi di allenamento, Rizzoli 2008) con prefazione di Orlando Pizzolato. Che le doti visibili della Messaggio (qualche mese fa celebrate in una festa di compleanno a Cortina, non correndo la LUT o almeno la Camignada, ma esibendo “bikini hot” in una piscina di hotel a sei stelle, chissà se con la partecipazione di Vanzina, Boldi e De Sica junior) siano però dovute alla maratona c’è da dubitarne, visto che la stessa ha dichiarato (come leggo su Internet) che “ il segreto della sua forma perfetta sono «Le arti marziali. Tonificano i glutei»…”. 

E la maratona? Be’, lasciamone scrivere, se non l’ennesima bibbia, almeno il più conciso vangelo a chi fa l’istruttore della federazione italiana di atletica leggera, come il nostro Lorenzini, coadiuvato in questo caso da Riccardo Bruno, giornalista del Corrierone  (non sportivo, ma praticante podismo: 3 ore e un cicinino a Roma nel 2014). Titolo, un po’ nello stile cinematografico della Wertmuller o di Woody Allen (“Tutto quello che avreste voluto sapere ecc. ecc.”) che nella sua versione estesa suona È facile vincere la (tua) maratona se sai come farlo. Consigli, tecniche, suggerimenti per prepararsi al meglio e superare se stessi (Milano, Newton Compton, 2014, terza edizione 2015, 297 pagine, € 9,90). Dove “maratona” è usata non solo nel senso tecnico dei 42,195 (diffidare dei Gps, ammoniscono gli autori a p. 256 e seguenti: già, e se anche gli organizzatori misurano col Gps, a chi credere?), ma in quello estensivo della “tua” corsa, qualunque sia la distanza che ti prefigga.

Dedicato soprattutto ai principianti, quelli che cominciano a correre per dimagrire e… subito dopo fare New York (le due classiche domande che il collega di lavoro, e podista principiante, ti rivolge quando sa che corri le maratone sono: 1- hai fatto New York? 2 – quant’è lunga la maratona?), il libro si offre però come lettura fruttuosa anche a chi (scegliamo uno a caso, il sottoscritto) tapascia da 44 anni e maratoneggia da 26, dopo aver provato sulle sue articolazioni tutti i malanni possibili, e tutti i farmaci e nutrienti e beveraggi lanciati via via sul mercato (a metà anni Novanta andavano di moda i cerottini nasali, che salvo errori non trovo citati nel libro e che ormai usa solo Rossi il “dottore” motociclista; adesso, i cerottoni colorati, di cui pure non vedo traccia. Aspetto di vedere un libro che metta in correlazione la velocità in maratona coi tatuaggi…).

Tutta la scienza podistica è racchiusa in 14 capitoli, e – ripeto – anche un runner tra lo scafato e il decrepito può trovare un utile ripasso o un aggiornamento di opinioni consolidate ma oggi ritenute fallaci. E naturalmente, come ormai fa anche la Chiesa col suo Vangelo, si può intervenire, rivedere, dissentire… Qualche scelta del tutto personale di passi notevoli o su cui si può ragionare:

Scelta delle scarpe: almeno mezzo numero più grandi del tuo, perché in corsa il piede si gonfia! Valutare l’appoggio del piede (p. 23 ss.), preferibilmente con la “pedana baropodometrica”, meglio ancora se con sensori in movimento, ma anche col fai da te del piede bagnato e della carta assorbente (ammesso che qualcuno abbia ancora della carta assorbente in casa: io sì, per nostalgia, come ho i pennini e l’inchiostro…).

“Calze magiche” come quelle che usava la Radcliffe: in teoria dovrebbero funzionare dal punto di vista sanitario, ma non è detto che migliorino le prestazioni (35).

Cosa indossare: in gare lunghe, mai niente di nuovo (37). Confesso che invece io inauguro calze nuove quasi ad ogni maratona, e per prevenire danni incerotto le dita e spalmo una crema sotto la pianta dei piedi (cosa su cui c’è il “ni” di Lorenzini e socio  a 36, poi 240).

Correre per dimagrire: è un “falso mito” che i grassi si consumino solo dopo mezz’ora o passa (48): no, va bene tutto! Diciamo che le prime duemila chilocalorie sono prelevate dal glicogeno, e i grassi entrano in ‘disfacimento’ più avanti; ma col trucco di correre a digiuno li si possono bruciare da subito (53-4).

Riscaldamento sempre! Non basta pensare che correndo pianino i primi dieci minuti di gara, è come se tu facessi il riscaldamento: servono allunghi ed esercizi di mobilità (58-60). Invece, sorpresa! Alla fine della corsa, se non hai tirato a tutta, “si può correre tranquillamente sotto la doccia” (60).

Dove allenarsi: va bene tutto (tapis roulant: ni), ma erba e sterrato (purché non troppo irregolari) sono l’optimum (67); però, più e più volte Lorenzini raccomanda di visitare le piste…

Che distanza scegliere: purtroppo è vero che più si invecchia e si va piano, più si tende ad allungare le distanze, non per scelte tecniche ma perché “il senso dell’impresa eroica supera abbondantemente ogni altro significato che si dovrebbe cercare nella corsa” (83). Su questo, faccio volentieri coming-out: l’avere finito 5 UTMB mi consola dei piazzamenti verso il fondo della classifica quando corro un diecimila, e ai vincitori di quei diecimila (magari, a Lorenzini…) mentalmente grido: venite con me sul Monte Bianco e poi vediamo dopo 30 ore chi ne ha ancora... Deplorevole, ma psicologicamente comprensibile.

Sei un jogger o un runner? La “soglia”, secondo alcuni (p. 98) sono i 7 a km. Cosicché io mi sento runner fino al km 30 delle maratone, dopo… retrocedo a jogger (ma quelli che camminano, almeno, li sorpasso), e torno runner quando vedo il cartello dei 40 (immagino cosa mi starà dicendo dietro Lorenzini).

Non basta la corsa lenta (salvo che per dimagrire): dalla p. 108 in poi stanno i capitoli più utili, o addirittura indispensabili, anche per gli scafati di cui sopra: allunghi, di 100 metri o 30 secondi, “allunghi allenanti” (da 8-10 fino a 20-25), variazioni (30 secondi meglio del ritmo lento), le famigerate “ripetute”, in pratica degli allunghi fino a 5 km o oltre, ma per i più modesti anche di soli 2-400 metri, purché fatte 10-20 volte e a 30-40 secondi meglio del ritmo abituale; e infine il “progressivo”, cioè migliorare di 10 secondi/km ogni 3000 metri, ma arrivare fino a 20 km di allenamento (cosa che io credo di aver fatto l’ultima volta intorno al 1995…). 

Ma io non faccio testo, diciamo che i miei allenamenti sono la banalizzazione del fartlek o, direbbe la Casalinga Disperata, della corsa ad minchiam; mentre il fartlek canonico è qui spiegato a 121-124. Mi consolo almeno vedendo (qui 124-131) che la corsa in salita/discesa/montagna/altura sono considerate ottimi allenamenti, e almeno in questo sono a posto con bibbie e vangeli. Corsa in acqua OK se sei reduce da infortunio, corsa sulla sabbia lasciamo perdere: curioso che Lorenzini e C. ammettano la corsa sul bagnasciuga ma dove non è pendente… ne avete mai visti di fatti così? Se non fosse pendente non sarebbe bagnasciuga (celebre parola inventata per sbaglio dal Duce), ma o sempre bagna o sempre asciuga. Se però il vostro scopo è quello di allenarvi con una Susanna Messaggio, correte pure anche lì (questo non è nel libro).

Interessanti anche i test (137 ss.) per capire i vostri limiti, e dove scatta la famigerata ‘soglia’ (quella oltre la quale non riuscite più a smaltire l’acido lattico): curioso il “talk test”, cioè la capacità di parlare durante la corsa. Quando riesci a proferire solo monosillabi, sei dentro al cosiddetto “fiatone”. A me non capita mai, segno che corro troppo piano. Naturalmente ci sono sistemi più scientifici: finora mi trovavo bene (anche quando facevo i test come arbitro di calcio) col test di Cooper, perché stavo ampiamente dentro i limiti; ma Lorenzini a p. 141 aggiunge un Cooper per “runner ben allenati”, e qui risulterei di “efficienza bassa”… Insomma, come si diceva decenni fa col celebre speaker Roberto Brighenti, quando si correva insieme al giro a tappe di Carpi, trovandoci a mezza via fra i top e i bottom: noi siamo i primi degli ultimi, o possiamo ambire a considerarci gli ultimi dei primi? 

Non avevo invece mai sentito il “test dei 7 minuti”: mi piacerebbe provarci in modo da confrontarmi con le tabelle di pp. 149-153. Dopo di che, potremo tutti stabilire con una buona approssimazione i ritmi cui allenarci (altra tabella a p. 159), e i tempi della “piramide” (174-177): salvo che le 26 settimane previste da Lydiard (165 ess.) sembrano fatte per chi corre una maratona, massimo due all’anno. E chi ne fa, non dico cento, ma una ogni tre o quattro settimane, cosa dovrebbe fare? Spero di potermi ritrovare nei precetti evangelici di p. 179: terminare sempre le sedute di corsa lenta con 5-6 allunghi; a settimane alterne andare su percorsi collinari facili, e fare ripetute brevi su pendenze massime del 10% (ma cosa vuol dire 10%? Dieci metri in su ogni 100 di strada, oppure un’inclinazione massima pari a un decimo di 45 gradi?); non fare solo del lento, e fai uno scarico ogni 5 sedute settimanali. E ricordarsi che l’allenamento deve costruire, non distruggere (179).

Precetti ancor più salutari sono quelli dei capp. 10 (esercizi ‘di ginnastica’, come si diceva quando cominciai a correre, appunto, con le “scarpe da ginnastica”, alias i scarpett de tenis di Jannacci) e 11 (alimentazione).

Stretching: eccomi colto in fallo per l’abitudine di farlo appena alzato, o un attimo prima degli allenamenti: “non va mai eseguito a freddo”, è il cartellino giallo di p. 187. Né farlo dopo gare lunghe o stressanti: qui la mia pigrizia è premiata!  I disegnini delle pp. 188-195 sono analoghi a quelli che da decenni tengo sul comodino… dovrò spostarli. A meno che non definisca i miei esercizi come “mobilità articolare” e “core stability” (196-8) e allora pare si possano fare sempre. A me servirebbero soprattutto per il momento di maggior dolore dopo una corsa, o meglio, per l’attimo in cui, dopo aver corso a piedi, e poi aver guidato mezzoretta per tornare a casa, all’atto di alzarmi dal sedile dell'auto per entrare in casa sento un male acuto alle anche… 

Invece, a saltare con la corda (esercizio altamente raccomandato, 199, e che a me fa venire in mente gli allenamenti televisivi di Duilio Loi o Sandro Lopopolo) non riuscivo neanche da bambino, figurarsi adesso. Quanto al nuoto, lasciamo perdere; forse posso aspirare all’assoluzione di Lorenzini se confesso di praticare assiduamente l’altro sport complementare, la bicicletta, a dire in verità non come sport ma come mezzo di locomozione urbana quasi esclusivo (14 km ogni giorno che vado al lavoro, media ‘commerciale’, cioè semafori inclusi, 20 km/h), tratto più lungo 4,5 km in 14 minuti quando va bene.

Come alimentarsi: “Mettiti a dieta (e mangia di più!)”, p. 205, paradosso come ne ho letti tanti in Luca Speciani; ma o per difetto di applicazione, o per altre storie, da quando faccio una prima colazione abbondante la bilancia mi penalizza di un bel po’… Comunque, i sacri testi sono concordi nel raccomandare (207-214, con “piramide” disegnata a p. 208): moltissima acqua (“primo ingrediente di ogni dieta dimagrante”), molti cereali integrali, frutta, legumi, olio d’oliva; moderato pesce e carne bianca, poco vino, un po’ più di birra, pochi latticini (qui sono invece un peccatore grave), dolci e carne rossa. Ma lo sapete che tre mesi fa noi giornalisti dell’Emilia siamo stati invitati a un corso di aggiornamento tenuto da quache Unione o associazione della carne, in cui ci hanno spiegato che quella di maiale fa bene e quella di pollo fa male, secondo non so quali riviste scientifiche? Naturalmente, il “corso” è stato concluso da una abbuffata galattica offerta dai macellai, e state tranquilli che di giornalisti alla greppia ce n’erano più che in un trail…

Bello il titolo di p. 213: “meglio un toast che un integratore”. Se preso entro un’ora dallo sforzo, un toast con bresaola (purtroppo, non con affettato di maiale…) e un succo di frutta nutrono più e meglio di qualsiasi integratore. A cui bisogna stare attenti anche durante le corse (confermo gli effetti malefici dei gel distribuiti a New York, qui adombrati a p. 219): meglio sempre acqua e banane. Inutili (si dice a p. 265) i cinturoni da pistolero muniti di bottigliette: bè, se verrete all’UTMB vedrete che servono (io non ho cinturoni, ma in qualche taschino o camelbag che mi accompagna nei lunghissimi tengo sempre acqua e barrette; in maratona, quando mi ricordo, metto nella polsiera un paio di bustine di fruttosio). Sarà scientificamente vero che dopo i 30 km è quasi impossibile cambiare il proprio destino con dello zucchero (265), speriamo almeno nell’effetto-placebo. Per il caffè, c’è libertà di coscienza; vietato il cappuccino pre-gara.

Del capitolo sulla salute (223 ss.) apprezzo soprattutto il ripasso di p. 229: se ti fa male a sinistra è la milza e non è niente; se a destra, fegato o no che sia, pensa a cosa hai mangiato e se sei allenato abbastanza: come pronto soccorso, rallenta (a me basta questo, e in genere mi succede nelle discese fatte appoggiando troppo pesantemente); o anche  alza il braccio destro e piegalo dietro la testa.

Tutti gli altri mali (fascite, tendinite – stranamente non vedo la tallonite), li ho provati e in genere risolti cambiando ogni due anni i plantari; che invece lasciano perplessi Lorenzini e C., pur senza arrivare a sconsigliarli (238).

Confermo che le code alle toilette prima delle gare sono essenzialmente di natura psicologica (241): ma piuttosto che star male o tentare con l’autosuggestione, anch’io preferisco scaricarmi, salvo poi accorgermi che erano poche gocce… E il discorso potrebbe collegarsi a quello dell’età in aumento presso i podisti (i tanti nati alle corse negli anni Settanta, e che insistono tuttora…), i quali anziché allenarsi meglio e rendersi conto che bisogna curare di più le fibre muscolari pallide in decadimento, aumentano solo i chilometri (247).

Dulcis in fundo: dopo essermi sentito in colpa, trasgressore, peccatore per molte delle pagine, gli autori da 280 in poi decidono di gratificare quelli come me: anche un allenamento da 40 minuti va bene, purché 20-25 minuti siano “di qualità”; e in gara, “prova tutte le distanze” (283). Veramente, non vorrebbero che facessi “troppe gare per allenarmi”, perché mi inducono a cose diverse rispetto al programma. Beh, intendiamoci su cosa è una gara: per me, quelle infrasettimanali, o comunque le non-maratone, equivalgono a un allenamento in compagnia, che anche secondo gli autori è positivo perché fa andare più forte. Se ti alleni da solo e sei stanco o pensi alla podista più carina e più cretina che fila tutti meno che te (sto citando Venditti), nessuno ti impedisce di rallentare; ma se sei in corsa, fossero anche quelle squallide dei vari trofei di Partito, non accetterai mai di essere distanziato, sia dalla podista carina e forse disponibile, sia dal tuo amico-rivale che ti aspetterebbe al traguardo indicando l’orologio; e dunque andrai più forte.

Con questo minimo segno di dissenso, che poi dissenso non è, mi congedo da un libretto sulla cui utilità metto in gioco la mia reputazione di non-markettaro con 2591 gare  (garette, garucce, ma pure 320 fra maratone e ultra) all’attivo, e mai un ritiro (altra cosa che Lorenzini disapproverebbe…).