Nella domenica più affollata di maratone dell’annata (ben 5), che hanno visto al traguardo 2718 classificati (pochi più di quelli che si era aggiudicata la sola Reggio una settimana fa), la giovane maratona con traguardo a Giovinazzo assomma 535 arrivati nel percorso intero e 400 nella mezza, piazzandosi dunque al secondo posto nello Stivale. Rispetto al 2015, mancano un centinaio di arrivati nella 42: sembra che le prime due edizioni non avessero soddisfatto granché, soprattutto per le segnalazioni lungo il percorso nell’attraversamento delle città principali (specie Bisceglie e Molfetta).
Curioso di novità da sperimentare di persona, ci sono andato, anche per la comodità di un pacchetto comprensivo di pettorale, alloggio, pasto del sabato e visita guidata di Giovinazzo: cittadina pugliese meno celebrata delle sue vicine (pensate che la Guida Rapida TCI l’ha addirittura depennata nell’ultima edizione in tre volumi), eppure meritevole di una passeggiata di un paio d’ore, come questa che Ivana (titolare dell’agenzia che curava il pacchetto) ha condotto per una ventina di noi prima della cena del sabato. Centro storico abbastanza ben tenuto, una cattedrale notevole, con l’aggiunta di alcune chiese e palazzi. Suggestiva la grande piazza su cui affacciano il municipio e la chiesa di San Domenico, dove sarà il traguardo della competizione.
Gara in linea, come era per l’antenata di questa corsa, la “Maratona di Federico II” nata nel 2010 e morta presto, che in comune all’attuale aveva i circa 14 km fra Barletta e Trani, con l’interminabile rettilineo d’ingresso in Trani, fino alla piazza dove si svoltava a sinistra, verso il mare, per raggiungere la suggestiva spianata della Cattedrale presso cui, all’epoca, stava il traguardo.
Dunque, questa domenica mattina, ritrovo a un km dal centro di Giovinazzo per salire sui pullman, in direzione Barletta per noi dei 42 km, e Bisceglie per quelli della 21 che partiranno un’ora dopo di noi, dunque irraggiungibili a piedi (a parte qualche tardone che verrà sorpassato dai primi della maratona).
La partenza della corsa è presso il Castello di Barletta (la Cattedrale stavolta non ce la fanno vedere), con un po’ di scomodità per la consegna delle borse, non ben segnalata: sui cartelli indicatori qui si fa un gran risparmio, e le frecce sull’asfalto saranno poche di più: si confida nella presenza agli incroci dei segnalatori ‘umani’, che però fatalmente a volte si distraggono un po’, lasciandoci qualche dubbio sulla direzione giusta. Clamorosa è anche la sfasatura tra i km reali e quelli segnalati dai nostri Gps fino al km 11, quando però le cose si aggiustano e resteranno precise fino al traguardo.
Ciò che i non-locali difficilmente immaginano è il dislivello: quella di correre in riva al mare è un’illusione perché, a parte le salite alle cattedrali (che, esclusa Trani, stanno in genere nel punto più alto delle città), anche i tanti km della dismessa SS 16 sono in continuo saliscendi, dal livello del mare (dove ad esempio sta la partenza, e la maggior parte dei primi 14 km) fino a un’altezza di 25-30 metri, da raggiungere più volte specie nella seconda metà, da Bisceglie in poi. Non so se siano corretti gli oltre 200 metri di dislivello che dà il mio Gps (con che avremmo una maratona più ‘montanara’ di Reggio), ma è sicuro che c’erano continui cambiamenti di ritmo, e tanto accumulo di fatica nei meno allenati. Ho ammirato, fin che ce l’ho fatta, il ritmo e i consigli costanti dei due pace-maker delle 4h15 (soprattutto lui); però tanto loro, quanto quelli delle 4h30 con cui mi sono trovato alla fine, hanno perso tutto il loro carico di ‘aiutati’, limitandosi a trainare qualcuno raccolto per strada, come appunto me. Troppo ‘bravi’ poi quelli delle 4.30, che hanno finito sotto le 4.29…
Più che buona la chiusura al traffico (solo per un paio di km abbiamo condiviso una corsia a testa – rigorosamente separate e vigilate – con le auto), anche per la ricerca di un itinerario spesso in stradette poco più che campestri. Suggestivo il passaggio nei centri storici, ovvero le zone delle tre cattedrali di Trani (e il successivo porto, coi pescatori che vendevano il raccolto freschissimo), Bisceglie, Molfetta, sebbene in queste ultime due la salita cominciasse a fare paura, e il basolato a grossi rettangoli di pietra liscia desse problemi di appoggio.
Ristori alquanto risparmiosi (solo bevande fredde) nella prima metà; poi sono comparse fette di panettone, arance e banane; mai trovato il tè caldo, nemmeno al traguardo finale, sebbene la temperatura iniziale fosse vicina allo zero (i vetri delle auto, la mattina, erano ghiacciati). Il ristoro finale (anch’esso piuttosto distante dal traguardo, nascosto e segnalato solo dal passaparola) era anzi il più povero di tutti.
Nessuno spugnaggio, nessun rilevamento chip eccetto la partenza e l’arrivo: anche i chip erano di un tipo mai visto, una striscia monouso della Icron piuttosto laboriosa da fissare ai lacci (ma altri, probabilmente quanti la possedevano già, avevano una variante di plastica, multiuso e simile ai dischetti o farfalline che riceviamo nella maggioranza delle gare al Centro-nord).
Originale la medaglia, un quadrato con immagine stilizzata, quasi cubista; la maglietta di finisher ci era stata anticipata, sulla fiducia, nel pacco gara. Il vincitore, il trentino Massimo Leonardi, chiude appena sotto le 2.27, distanziando il secondo di ben 16 minuti, vale a dire oltre 4 km; la prima donna, Federica Moroni, chiude sopra le 2.56, ottava assoluta e unica donna sotto le 3 ore.
Sollecita la riconsegna delle borse consegnate in partenza; le docce stanno a un km, vicino a dove erano partiti i pullman, ma per fortuna il pacchetto globale prevedeva la riconsegna della camera d’albergo alle 16, dunque c’è tutto l’agio per una doccia individuale molto calda.
E c’è tempo pure per la visita a una quinta cattedrale, non compresa nel tracciato (a una decina di km da Giovinazzo) ma probabilmente la più bella di tutte: quella di Bitonto, meravigliosamente restaurata, con la piena valorizzazione della basilica paleocristiana sottostante. Ma tutto il centro di Bitonto è un gioiello: diciamo, una Giovinazzo più grande e affollata, con l’unico neo che alle 19 non riesci a mangiare nemmeno una pizza, e gli esercenti sono alquanto restii a rilasciare lo scontrino o la ricevuta.
Per il ritorno, in serata c’è un Ryan stracolmo come al solito, su una rotta snobbata dalla cosiddetta compagnia di bandiera, ma più conveniente del treno quanto al prezzo, e ovviamente all’orario.
Maratona così così (non delle peggiori, comunque: se non altro, per la presenza sul tracciato di Porcelli e dei coniugi Annoscia), ma in un tratto di Puglia che vale sempre una visita.