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Longarone Busche La Piave Marathon Foto Fabio Marri

Le foto

 

Cannibalismo triveneto, però fatto bene

 

Eviterò di usare la stantia frase “buona la prima”, perché secondo quanto gli organizzatori hanno scritto da sempre, questa è stata un’edizione unica, un prolungamento della 30 km Belluno-Feltre nel suo decennale. Però, a parte un dubbio che ci ha preso tutti, circa l’effettiva lunghezza della gara (i Gps oscillano dai 42,330 ai 43 km – certo, la dichiarata misurazione ufficiale Aims è probante, ma possibile che ci siamo sbagliati tutti? ho anche notato che i km 40 e 41 erano segnati sull'asfalto circa mezzo km prima del cartello che li annunciava, e che faceva testo: misurazione corretta all'ultimo?), direi che l’organizzazione è stata perfetta, e ce ne fossero di maratone come questa! Dura, anzi durissima per una maratona stradale, che per non essere omologata dalla Iaaf (quanto ai tempi cronometrici) causa il disputarsi in linea, e l’avere un dislivello dalla partenza all’arrivo di 206 metri, segna comunque 241 metri da salire (di cui, gli ultimi 12 negli ultimi 1500 metri; e una punta massima di 41 metri D+ ai km 13-14, cioè all’ingresso in Belluno); e 444 metri in discesa.

 

Si aggiunga che il primo tratto, in teoria il più facile, si svolgeva quasi per metà su stradine sterrate (mi ricordava un po’ i primi km di Davos, o la Cortina-Dobbiaco); e pure lo stillicidio di salitine, quasi a ogni km (16 m al km 29, 6 ancora al 35, e così via), può spiegare i tempi non eccezionali segnati sia dai vincitori sia da noi di centro e fine gruppo. Buon per la vincitrice femminile, con un mediocrissimo 2.59, che il ritiro programmato della campionessa italiana di cross Federica Dal Ri (con la quale, e col cui marito Gabriele De Nard, ho avuto la ventura di scambiare due chiacchiere su una panchina poco prima del via a Longarone) le abbia consentito di lucrare la solita prebenda settimanale, o quasi, che ottiene abitualmente frequentando maratone di basso livello tecnico e scarsa partecipazione.

 

Strano il numero di 816 iscritti che appare dal comunicato ufficiale, di fronte a soli 687 classificati (tra cui 140 donne): un numero di ritirati così alto non è usuale nelle maratone. Certo che a un centinaio di km di distanza si è svolta la maratona “Unesco Cities” Cividale-Aquileia, finita da soli 439 atleti, con tempi ancora più amatoriali: ed è un peccato che due gare così vicine e paesaggisticamente altrettanto belle si siano erose a vicenda; ma domenica prossima succederà anche peggio, e a livello di “major”, dunque non c’è da stupirsi di niente, salvo ricordare gli antichi tempi dell’AMI quando le date erano concordate un anno prima. In ogni caso, notevole l’aumento di classificati rispetto alla 30 km Belluno-Feltre del 2016, quando arrivarono in 270 più un centinaio di non competitivi.

 

E comunque, niente da eccepire sulla gara che aveva nella stupenda Belluno il suo centro maratona (con ritiro pettorali, e varie manifestazioni compresa una festosa corsa cittadina per giovanissimi), e domenica mattina si è spostata a Longarone per un mesto omaggio alle quasi duemila vittime dell’assurda tragedia del Vajont di 54 anni fa. La partenza dal cimitero di Fortogna ha consentito a tutti noi di commuoverci visitando il museo, la chiesa e la sterminata geometria di tombe, alcune senza nome per sempre. Pittoresca la scelta degli organizzatori di sistemare, nella prima parte del tracciato, quasi duemila gusci di conchiglia (uno per ogni caduto), che noi potevamo raccogliere per portare fino al traguardo un ricordo di chi non c’è più.

 

Partenze differenziate, tra le 9 e le 9,30, per le varie categorie (ciclisti della 50 km, handy bike, “spingitori” di carrozzelle, maratona a staffetta da 4, e finalmente noi duri); mentre a Busche, sede dell’arrivo, si svolgeva una tappa del campionato di nordic-walking, sui 4 e 8 km, con un percorso molto gradito e un’altra organizzazione inappuntabile, che comprendeva anche i giudici dello “stile” dei walker.

 

Percorso della maratona totalmente privo di traffico: forse un km o poco più era condiviso con le auto, ma su corsie ben distinte; impressionante il numero di addetti ad ogni incrocio; puntuali e ben forniti i ristori e spugnaggi (con qualche sospetto di riciclo spugne per questi ultimi); eccezionale la sistemazione della zona arrivo, a cominciare dai parcheggi degli atleti (per chi non avesse usufruito delle navette), e continuando con l’area spogliatoi, docce (al limite fra il tiepido e il freddino, quando l’ho fatta io dopo i 431 che mi erano arrivati davanti…), pasta party. E in moltissimi siamo poi andati all’attiguo salone del Latte Busche a fare acquisti (scontati per i podisti, ma anche per gli altri a motivo dell’anniversario di fondazione della ditta) e coronare il pasto con un superbo gelato.

 

Tempo ideale per la corsa: sebbene il comunicato ufficiale scriva di “previsioni meteo, che avevano parlato di tempo incerto e possibili piogge, clamorosamente smentite”, in realtà noi podisti sapevamo che il meteo di sabato mattina prevedeva pioggia dopo le 17, e quello di sabato sera, non prima delle 14; dunque siamo tutti partiti vestiti leggeri, confortati da un bel sole; dopo circa quattro ore si è levato un certo vento e sono arrivate le nuvole, ma anche gli ultimi sono giunti al traguardo senza nessun problema di pioggia.

 

Presenti, naturalmente, molti amici, habitués delle novità, come Hartmann Stampfer da Fiè allo Sciliar, alla sua 286^ maratona (lui non ripete mai la stessa maratona: non è mai stato nemmeno a Conegliano perché si chiama ancora Treviso Marathon e dunque l’ha già fatta…); i primatisti italiani del maggior numero di maratone corse in un anno (100), i barlettani Michele Rizzitelli e Angela Gargano; Piero Ancora da Milano, che dovrebbe essere il primo italiano a raggiungere le 1000 maratone corse in carriera (avverrà, se il diavolo non ci mette la coda, a Orta il 4 giugno); papà e figlia carpigiani Torricelli (3.39 lei, 3.42 lui), e no podeva mancar Adriano Boldrin de Bojon, penultimo a pari merito con 5.55.

 

Pasta party stavolta nel senso letterale, cioè solo pasta e una bottiglietta d’acqua (be’, el pastin l’avemo magnà in piassa a Beluno sabato); classifiche esposte nella vicinanza degli spogliatoi, ma con uno strano salto dalle 4h02 alle 4h19; in mancanza anche della prevista comunicazione per email dei risultati, è successo che solo arrivato a casa ho scoperto di essere terzo di categoria (su 18, non malignate eh!). Mi farò pagare una birra da Sandrone Dalla Vecchia, boss della Tds, quando lo ritrovo…