Prima e unica edizione, Maratona Internazionale sulla distanza di km 42,195, gara omologata FIDAL: così è stata pensata e ben organizzata per celebrare i dieci anni della nota Belluno – Feltre; partenza dal cimitero di Fortogna (Longarone), per non dimenticare la tragedia del Vajont, poi lungo la vecchia strada romana, dopo sedici chilometri mossi si è già al ponte degli alpini e nel salotto buono di Belluno, la sua piazza dei Martiri, poi un lungo, bello, illusorio discesone panoramico che porta all’attraversamento del Piave grazie al bel Ponte della Vittoria … e proprio lì che il Piave ci incomincia a mormorare … “non passa lo straniero”.
Dopo la bella vetrina nel centro di Belluno, varcato il Piave, è proprio lì che inizia la sofferenza! Ebbene sì, la road map guardata la sera prima a tavola con Luca sembrava mostrare un percorso “fluido in leggera discesa”, ma la carta spesso è illusoria; la verità, quella vista e misurata passo dopo passo è un'altra, il percorso continua a mostrare un tragitto mosso e leggermente ondulato, fatto di lunghi rettilinei che insinuano nella testa mille dubbi: la domanda ricorrente tra i maratoneti è sempre la stessa: “ma non doveva essere tutta in discesa?”.
Siamo in sette della nostra polisportiva, partiti chi dalla Brianza e chi dalle Marche, tentati da una maratona che Michela ci aveva spacciato per una corsa sostanzialmente in discesa, facile, dove forse poter fare il proprio miglior tempo; ognuno in cuor suo, sotto gli effetti allucinogeni della Vanità del proprio ego, già pensava a un tempone da incorniciare.
Nulla di più sbagliato, una corsa muscolare, il Piave mormorava, e aveva ragione! solo Fabio (Vena), corridore da discesa, con una gara assurda fatta da discese (poche) percorse a manetta più dei kenioti è stato premiato dal riscontro cronometrico. Grazie al principio che la somma fa il totale, o meglio, alla regola matematica del valore medio, Fabio si è regalato il proprio miglior tempo in maratona: se vi chiedete chi è Fabio basta guardare la foto della partenza, o meglio quella dopo la prima discesa, dove a fianco dei top runner si vede un uomo, italiano, con un sorriso da orecchia a orecchia, vestito di sola canottiera verde Di.Po. (Dimica Potenter, combatti con vigore).
Io che pensavo di chiudere sotto le quattro ore seguendo i palloncini arancioni delle tre e quarantacinque, sentita la voce del Piave “dove vai? Di qui non si passa”, dopo aver fatto il giro di boa secondo tabella, già al trentesimo mi sono dovuto arrendere e farmi governare dagli evidenti e preoccupanti segni di cedimento dei polpacci, messi a dura prova dal percorso fino a lì molto muscolare.
Per me una maratona chiusa con tre minuti sopra le quattro ma con un inaspettato dono sul finale, i crampi. Per la prima volta ho provato quell’esperienza dolorosa; ero stravolto ma pensavo di poter raggiungere Luigi, che mi sembrava più stravolto di me (quale soddisfazione poter arrivare con lui in uno sprint finale!), ma a poco meno di seicento metri dall’arrivo, superato il ponte di Busche, la gamba destra mi si è immobilizzata: cosa mi succede, sono nel panico, vedo l’arco blu dell’arrivo, che male … crampi! Mio malgrado mi sdraio a terra, solo e imbarazzato, mi trovo costretto a dovermi tirare le gambe, un minuto abbondante a terra guardando passare atleti che, anche loro allucinati dalla stanchezza e dal miraggio dell’arrivo, credo non mi abbiano neppure visto.
Sul traguardo trovo Fabio e Luigi (Mariani) che mi incitano, Luigi mi fa cenno di aumentare il passo per uno sprint finale, mi piacerebbe ma non posso, i polpacci continuano a tirare, tengo duro e continuo con il mio passo da criceto, varco il traguardo, lo speaker fa il mio nome, mi trovo al collo la medaglia.
Ritiriamo la borsa e ci viene incontro Maria: grande, è già arrivata! Purtroppo no, già alla partenza non era al cento per cento, e per il Piave è stato facile chiudere la porta; la delusione è forte ma è dalle sconfitte che nascono nuove imprese. L’unico che continua ad avere un sorriso da orecchio a orecchio è Fabio. Grande risultato anche per Tania, anche lei convinta di affrontare una maratona fluida, invece arrivata sfatta con crampi pronti a colpire, ma con un risultato stupefacente, da incorniciare: prima di categoria e sesta femminile assoluta.
Massimo si è guadagnato il titolo di cavaliere ad honorem, ha scortato al traguardo Michela (Bonalumi), la veterana, e Vera (Zarrelli), la novizia, che stoicamente si è portata a casa la sua seconda maratona; e che maratona! Oltre a doti cavalleresche ha mostrato grande pazienza e stoica resistenza: percorrere gli ultimi chilometri con Michela non è facile, quando l’ossigenazione è limitata lei diventa ringhiosa, bisogna stare molto attenti: può mordere.
La maratona è sempre un avventura, un bel ricordo, ma l’importante - come nei viaggi - non è la meta, ma il percorso fatto; stanco morto da una giornata iniziata in salita, con la sveglia puntata alle cinque e mezza di domenica mattina nel primo giorno di cambio dell’ora, chiudo gli occhi e mi scorrono immagini, rivivo attimi, rivedo paesaggi.
Luigi (Mariani) steso immobile sul divano-letto che pare un morto, la foto postata sul gruppo con l’etichetta “il conte Dracula”, foto pazzesca che giro anche a Carla, la mia dolce metà che in meno di due secondi, di rimando, mi messaggia “ma non doveva dormire Michela sul divano?”: devo riportare serenità e immediatamente do riscontro: “tranquilla, la stanza è grande ci hanno preparato tre letti singoli”.
La testata di Luigi alle cinque e mezza di mattina, un colpo secco sul duro legno della sponda, una risata collettiva svegliante più di una caraffa di caffè.
La felicità incontenibile di Fabio, uomo da discesa: sorrido sull’immagine di un pazzo in canotta verde che nel primo tratto di discesa, con una velocità folle, zigzagando, superava l’impossibile mentre alle sue spalle Luigi e Tania pensavano “questo è pazzo, non arriva in fondo” … e invece in fondo c’è arrivato, migliorando il proprio personale di dieci minuti.
Affianco Luigi, che vedo camminare davanti a me, lo saluto e falsamente lo rincuoro, dicendogli che “poi cammino anch’io”; non è così, vorrei tanto stargli davanti, sfruttare il momento di crisi, ma in realtà gli ho dato la carica, e l’orgoglio gli ha permesso di chiuderla nuovamente davanti a me.
Maria sorridente ma incazzata nera, non le va giù il ritiro e ha già in mente nuove gare per rifarsi.
Massimo (Viola) che accompagna Michela al traguardo incitandola a non mollare, ricevendo in cambio ringhi assassini che il tappeto blu del rettilineo di arrivo magicamente trasforma in sorrisi e saluti verso i parenti accorsi per lei in massa.
I fiumi di birra bionda bevuti a brocche a Pedavena, nel regno della birra.
La diga del Vajont ancora in piedi, monito e monumento per il futuro.
Le stupende montagne del Bellunese.
Il ritorno in auto con gli occhi rossi dalla stanchezza tenuti faticosamente aperti per far compagnia a Massimo, che guiderà per più di trecento chilometri fino a Vimercate.
Chiudo gli occhi e mi addormento come un sasso nel mio comodo letto russando copiosamente, mi risveglierò con le gambe di legno, ripromettendomi “questa è l’ultima”, “Troppa fatica” … ma non sarà cosi.