
C’è chi lo fa per professione e chi per passione.
Non me ne vogliano i primi, ma per chi lo fa per passione ho un debole.
Claudia Gelsomino, classe 1969, di Boffalora Sopra Ticino, corre per passione.
E la passione l’ha portata là, in prima fila alla partenza della Maratona per definizione: quella di New York.
È stata una grande emozione vederla tra le top runners, lo è stata anche per lei.
Lei che a quella maratona aveva deciso di andare a prescindere, che per esserci aveva preso ferie e prenotato l’albergo come la maggior parte degli oltre 50.000 presenti.
Unica richiesta fatta, essere messa nella First Wave per non restare troppo imbottigliata alla partenza, per non aspettare ore al freddo, che i novembre di New York non sono uno scherzo.
Richiesta per nulla eccessiva se contiamo che arrivava dalla campionessa italiana in carica di Maratona, richiesta alla quale si sente rispondere un vedremo, le wave sono fatte, comunicheremo in seguito.
Poi la mail.
Quella che le comunica, sempre se è d’accordo, che sarà inserita nelle top o come dicono loro, nell’elite.
Avrà lo stesso trattamento delle professioniste, parteciperà a meeting, vivrà tutti i riti che toccano a quelli in cima al mondo dell’atletica, vivrà il suo sogno.
Sì perché per una che lo fa per passione questi sono i momenti che ripagano di tutto: del tempo rubato agli affetti, agli amici, alla vita di tutti i giorni, agli svaghi, al riposo.
I momenti in cui capisci che tutto aveva un senso, le alzatacce la mattina, gli scusa non posso, le rinunce, tutto era in funzione di questo: essere lì in quel momento.
Arriva a New York il venerdì, a meno di 48 ore dalla gara, ci sono una vita normale da vivere e degli impegni da rispettare che non le permettono di più, ma forse non è un male, non fa in tempo ad abituarsi al fuso e visto che l’aspettano delle sveglie al sorgere del sole meglio così, meglio godersi l’avventura al massimo.
Magari, se fosse arrivata prima, la mattina del sabato non sarebbe stata così sveglia all’alba e sì sarebbe persa l’incanto di correre in un Central Park già bagnato da una leggera pioggia prima che diventi uno dei più frequentati circuiti cittadini del mondo. Deve fare poco, qualcosa di blando, la rifinitura come la chiamano quelli bravi, e poi tornare in hotel per prepararsi ad entrare nell’ingranaggio dell’organizzazione che prevede per sabato un meeting con tutti i Top Runners. Finisce l’allenamento ma non tiene conto della maledizione che pare colpisca l’elite femminile, preferibilmente bionda, della maratona italiana ed, esattamente come Valeria Straneo un anno fa, si perde, finendo col fare molta più strada del dovuto. Ma i chilometri non sono mai stati un problema per lei e si presenta all’incontro con la voglia di essere parte di qualcosa di unico. Unico come il rito della preparazione delle borracce, alla quale lei, nonostante il palmares di tutto rispetto non ha mai partecipato. Ed è con lo spirito di una novella Alice che si trova nella stanza delle meraviglie. Tante borracce nuove da riempire con quello che serve, ma soprattutto da personalizzare, perché siano riconoscibili al volo, correndo. E quindi chilometri di nastri adesivi colorati, paillettes, scotch, lustrini, perché suvvia sono donne, oltre alle ripetute c’è di più e avranno pur diritto ad un vezzo, un qualcosa che sottolinei la loro femminilità. Poi l’incontro con la presidentessa e Ceo di New York Road Runners Mary Wittenberg e con il responsabile della gara che darà le direttive sui ritrovi, sui ristori e su tutto quello che potrà essere utile agli atleti. Finite le comunicazioni di servizio e il controllo da parte della IAAF dei completini da gara, sono rigide le norme che regolano le pubblicità da apporre, si può passare alla cena . Il tutto tenendo ben conto che i pullman dei runners partiranno alla volta del Ponte di Verrazzano, storico punto di partenza della New York City Marathon, alle 6, 30 della domenica mattina. Pullman che sembrano far parte della scena di un film. Gli atleti vengono scortati dalle forze dell’ordine; auto della polizia precedono affiancano e seguono il corteo. Il traffico è bloccato, è pur sempre la maratona più frequentata del mondo, ed è necessario che tutto proceda nel migliore dei modi, gli ingranaggi devono essere oliati e girare alla perfezione, quindi i top runners devono essere assolutamente sul ponte in tempo. Un evento come questo, visto in mondo visione, non deve far attendere i suoi protagonisti. Il viaggio dura circa 1 ora e venti e Claudia con gli altri andrà ad attendere la chiamata sulla start line nel tendone adibito. C’è da mangiare, da bere, massaggiatori a disposizione, ma come si può mangiare quando stai per vivere un momento che resterà con te per sempre, lo stomaco è chiuso e bisogna solo attendere. Arriva il momento, le ragazze saranno le prime a partire, da qualche anno è così, lo si fa perché non siano facilitate dalle “lepri”, che spesso tiravano le atlete per quasi tutta la gara, e lo spettacolo ci ha guadagnato, e non per la mancanza di strategie, ma perché l’emozione di vederle partire da sole, di riconoscere le proprie beniamine e goderne gran parte della gara senza essere mischiate agli uomini è impagabile. Cinque minuti di cammino e si sale sul ponte. E qui Claudia diventa di tutti quelli che la amano. Perché se quello che c’è stato prima era privato e personale, adesso è sotto lo sguardo del mondo. In prima fila, visibilmente tremante di freddo, tensione ed emozione, scambia qualche parola con Valeria attendendo il colpo di cannone. Colpo che la coglie di sorpresa, nonostante gli occhi fissi sullo starter, parte con un attimo di ritardo: ed è gara. Non pensa al tempo Claudia, nessuno pensa al tempo a New York, troppo collinare, troppo in là la stagione. Fa freddo a sul ponte di Verrazzano, fa freddo e tira vento, sarà così per tutto il percorso. Claudia parte con il suo passo e in breve si trova sola. Le prime più avanti e le altre indietro, è in una terra di mezzo in cui tutto va a suo ritmo. E questo le regala la magia di una gara vissuta sulla propria pelle metro dopo metro. C’è il suo nome sul pettorale, un nome italiano. Passando tra tutti i distretti lo sente scandire forte “GO CLAUDIA GO”, chiamano lei, solo lei, non devono scegliere tra più concorrenti per chi tifare, è sola e va sostenuta, il pubblico di New York in questo si dimostra meraviglioso, le fa venire i brividi e credo spuntare un sorriso, corre felice Claudia. I chilometri si snodano e giunge il punto più temuto della maratona, quel Queensborough bridge che arriva dopo metà gara pronto a spezzare il fiato, Claudia sta bene, lascia girare le gambe, segue il suo ritmo e non sente i quasi 800 metri di salita che portano sul ponte lungo più di due km, i ponti sono l’unico posto in cui il pubblico non è consentito, c’è silenzio sui ponti, un silenzio che la porta a superare un’atleta e che le fa godere ancora di più il fragoroso boato che l’accoglie alla sua entrata in Manhattan, un boato che risentirà al 35 km quando, scortati dalla polizia, i primi uomini la supereranno, lei che si è spostata un pò per farli passare. Questo momento e l’urlo prolungato della folla che accoglie i campioni, la galvanizzano e dal 35° al 38° inanella i tre km più veloci della gara. E sarà per questo, sarà che i 4km finali sono tutti in salita o forse solo che ne ha già 38 sulle gambe e tira sempre vento ma il finale è faticoso, ma lei lotta, stringe i denti e vola a prendersi la sua medaglia e non solo. Sì perché anche se non è partita pensando al tempo un obbiettivo l’aveva, un obbiettivo ambizioso e bellissimo, vincere la categoria F44/49, e così è stato. E fa niente se quando arriva al traguardo 23° assoluta si stanno premiando i primi uomini, tanto l’emozione resta ed è immensa. Vive così le ultime coccole della giornata, quella giornata che l’ha fatta sentire speciale: un’addetta la prende dopo il traguardo, l’avvolge in una coperta calda, la veglia mentre si cambia e si accerta che non abbia bisogno di nulla, dopo di che la scorta al pullman e dopo averla abbracciata la saluta con calore. Quel calore che Claudia si è portata a casa, quella sensazione di aver partecipato ad un evento unico, di essere stata considerata una persona e non un numero di pettorale. Di essere stata considerata per quella che è: un’atleta che vive la sua passione riversando su ogni chilometro anima e cuore.
PS Questa maratona la vorrei dedicare a tutte le persone che mi sono state vicine prima, durante e dopo la gara chi con messaggi, chi fisicamente, chi moralmente. Siete stati tantissimi e questo mi ha fatto veramente piacere. Adesso scarico un pochino ma nel frattempo sto gia’ pensando a quale sara’ la prossima maratona che vorrei fare in primavera, sperando di correrla ancora assieme a tutti voi. Claudia