Chi presenzia ad un funerale (in questo caso quello della Sig.ra Atletica) lo fa con un animo poco incline alle chiacchiere, e in quei momenti mi ero imposto il silenzio…
Mi sono ricreduto leggendo l’ultimo articolo di Scuderi (“Stipendi a pioggia…”, 23 agosto) e la conseguente reazione argomentale finalmente cresciuta di tono. A conferma che il grande Totò sapeva cogliere magistralmente le pochezze di noi Italiani: è sufficiente essere toccati nel portafoglio (“…e io pago…”) che riusciamo a far lavorare con immediatezza il cervello alla ricerca di analisi consone. Per le soluzioni ci vuole più tempo, per le applicazioni un’eternità.
Che poi le proposte risolutive siano appropriate, beh! ce ne corre. Per immaginare che siano inadeguate, è sufficiente avvertire che le stesse partono dagli specifici bisogni che ognuno di noi ha maturato nell’atletica, bisogni a volte ridicolmente provinciali, a volte smaccatamente individuali o di clan.
Traducendo Totò, abbiamo nel mondo diversi esempi di denaro ben speso, indipendentemente dalle cifre ed indipendentemente dalle cifre di cui FIDAL dispone nei confronti, ad esempio, di Cuba, Spagna, Polonia. Ma ce ne sono anche altre.
Riferendosi a Pechino 2008, Cuba ha speso nel quadriennio olimpico per la preparazione e trasferta la cifra che noi, invece, abbiamo speso nella sola trasferta. Così ci venne riferito da Alberto Juantorena (El Caballo) in un incontro organizzato a Milano nel 2009. L’Italia tornò con complessive 27 medaglie, Cuba con 24. Ogni medaglia costò all’economia sportiva cubana la metà delle nostre.
La Spagna, dopo i risultati di Barcellona 92 (aiutata dal gioco in casa e da un po’ di doping) ha sfruttato per qualche anno l’onda lunga dei successi, ha avuto il tempo di ammosciarsi ed ora pian piano sta risalendo la china. Noi, invece, ci ammosciamo sempre di più, affetti da una impotenza purtroppo cronica, da non ritorno. Chissà se qualche luminare prima o poi ce la diagnosticherà. E la diagnosi toccherà ognuno di noi, non solo i vertici da noi eletti sotto l’etichetta di una democrazia che di democratico ha ben poco.
Polonia. Un Paese sportivamente in salute. E’ vero che possiede un sistema scolastico che in ambito sportivo funziona, e questo aiuta non poco. Ma di fianco alla scuola c’è un apparato tecnico degno di questo nome. Da noi, invece, sono diversi i tecnici che per poter lavorare con soddisfazione si trasferiscono all’estero; mentre i tecnici che non emigrano si incavolano se sentono solo parlare di fare incontri con altri tecnici stranieri. Il meticciato è funzionale solo per gli atleti ma non per i loro saperi…
Con buona pace di Arthur Lydiard, grande tecnico neozelandese degli anni 60 morto agli albori del terzo millennio che, nella sua ultima conferenza tenuta in Italia, con un abile giro di parole disse che i presenti faticavano a capire i suoi concetti… Con buona pace anche del DT Locatelli che, ora, si è “accorto” che il telefono tra i tecnici la fa da padrone. Mentre si “dimentica” che quando lui bazzicava anni addietro l’atletichetta nostrana, era il fax a farla da padrone... Non mi riesce di capire perché un uso improprio di tecnologia andava bene allora ed ora non più. Mi affido a Mozart e alla sua “Così fan tutte”, un’opera buffa che ci aiuta a piangere; forse è lì che c’è la spiegazione.
Per restare sul tecnico, faccio una riflessione anche sull’intervista che il prof. Magnani ha rilasciato a Marco Marchei di RW [e con toni analoghi anche su “Correre”, NdR]. Gli argomenti e le analisi seguite sono, a parer mio, più che condivisibili e destinate ad essere un punto di ripartenza (l’ennesima!?). Però ha dimenticato che oggi tutta la Federazione (dal vertice al più piccolo dei Comitati) è infettata da un virus difficilmente estirpabile: il tapascionismo, fase suprema dell’italico tecnicismo, basato sul concetto agonistico del risultato master, supportato/sopportato da tutti gli organismi di comando federali; nessuno escluso. Tale concetto enfatizza il risultato relativo, che ha ragion d’essere nello sport in generale ma (a parer mio) non nello sport di prestazione assoluta. Questo concetto ho avuto modo di esporlo qualche anno fa in una delle mie ultime perdite di tempo in ambito romano. Nemmeno si è valutato il valore o la pochezza del concetto. Si è semplicemente ignorato. D’altra parte, da noi, ignorare è la prassi…
Da noi, nella nostra Italietta, abbiamo la fortuna di disporre degli EPS (Enti di Promozione Sportiva) ai quali la Federazione avrebbe potuto/dovuto passare l’epidemia virale del tapascionismo. Epidemia che gli EPS avrebbero dovuto curare secondo gli strumenti disponibili e la filosofia a loro consona. Da noi, invece, la Federazione ha voluto concedersi il lusso di interferire nelle cose loro aprendosi, di fatto, una porta che ha permesso una epidemia di ritorno. Un chiaro esempio è quello della Porretta/Corno alle Scale, sviscerato recentemente su queste pagine: lo strascico di un caso di doping afferente totalmente alla parte “alta” dell’atletica ha dovuto essere “gestito” dalla parte “bassa” del Movimento con i risultati che abbiamo visto.
I nostri segugi (meno male che ci sono e hanno il coraggio di annusare nel torbido) non è che abbiano, in questo caso, fatto una buona caccia. Annusando solo la traccia del doping, non si sono accorti che della parte non competitiva nella quale si sarebbe rifugiato il Sig. RB non c’è traccia sia nel regolamento ufficiale che nella bozza pubblicata da UISP. Non c’è traccia della non competitiva neppure nel calendario del Coordinamento Podistico Bolognese seguito da Claudio Bernagozzi il quale dà scarne basilari info ma, quasi con pedanteria, indica se le manifestazioni inserite sono solo competitive, ludico motorie o miste.* Inoltre, il regolamento della manifestazione ci dice che dal sesto uomo e dalla quarta donna in poi i premi saranno in natura. Scuderi cita Totò, io cito Marzullo e mi domando: come saranno gli altri premi? E mi rispondo: non certamente in natura… Trovo fuorviante, di fronte a questo accumulo di piccole/grandi incertezze, tirare in ballo la professionalità mancata dell’apripista conducente.
Spiace dover rilevare queste incongruenze perché la Silvano Fedi, prima che nell’UISP, anche nel Movimento amatoriale era ritenuta una signora società. Quando nella mia preistoria atletica militavo nell’Uisp, noi dirigenti di allora la ritenevamo una società da emulare. Peccato che sia stata anch’essa travolta da quel pressappochismo imperante che è il rovescio della medaglia tapascionica: l’asservimento al campionismo a tutti i costi che, alla fine, eleva agli onori degli altari atleti dai risultati parrocchiali, ritenuti degni del Paradiso Atletico per dovere di carità cristiana. Non certo per meriti sportivi.
Mi scuso per la lunghezza. E se qualcuno è arrivato fin qui nella lettura, converrà con me che nell’immediato, per metterci una pezza, servono una divisione di andrologia, una di oculistica e un reparto degli infettivi. Io, invece, visto come è messa la sanità in Italia, con più fiducia mi affido alla nostra Casalinga di Voghera.
Casalinghe d’Italia, l’atletica è nelle vostre mani. Sciura Maria, Sora Lella, Donna Concetta lavateci per bene, come sa fare ogni buona madre. Poi, senza timori, buttate tutti noi, l’acqua sporca e pure il catino. Personalmente gradirei essere buttato nella caverna, insieme a Diogene. Sarò/saremo in buona compagnia. E poi, c’è tanto di quel posto… per tutti… e forse l’Atletica dirà grazie. Oppure, guardiamoci allo specchio e rendiamoci conto che il problema siamo anche noi.
PS. Nell’immagine che sovrasta il pezzo di Scuderi non vedo bene. Sull’ombrello cadono miseri eurini arrugginiti o foglie secche, autunnali, da primi di novembre? Nell’un caso e nell’altro, roba da giorno dei Morti… Immagine azzeccata.
*NdR. In realtà qualcuno dei nostri ‘segugi’ si era accorto dell’inghippo e l’aveva scritto nel commento alla famigerata Porrettana Cornificata: “Peccato che la gara in oggetto non prevedesse l'opzione ‘non competitiva’...”.