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Rio olymoics 670 534 29Cos’hanno in comune Atene, Amsterdam, Melbourne e Rio de Janeiro?  Hanno in comune il numero 0: zero come le medaglie vinte dall’Italia in atletica leggera nei rispettivi Giochi olimpici. Ad eccezione di Atene 1896, dove nessun nostro rappresentante fu presente (ad eccezione del maratoneta Carlo Airoldi che però non fu fatto partire perchè accusato di professionismo; magari questa storia la racconteremo più avanti…) la disfatta totale è arrivata in sole tre occasioni. 

Altre volte avevamo portato a casa almeno una medaglietta (in tempi recenti con la Simeoni a Melbourne 1976, con De Benedictis a Barcellona 1992 e con Donato a Londra 2012). L’apice l’avevamo raggiunto a Los Angeles 1984 con 7 medaglie, grazie anche al boicottaggio degli stati dell’Europa dell’est e probabilmente grazie anche al ‘magheggio’ di qualche stregone. 

Ora, da regina, l’atletica leggera è per noi italiani la cenerentola degli sport. Si spera sempre in una medaglia, qui a Rio de Janeiro però sarebbe servito un vero miracolo. Raramente ci siamo  trovati “dentro la gara” se non con la Palmisano e Giupponi, entrambi nella marcia. Nelle maratone dobbiamo fare affidamento sugli ultra 40enni, troppo poco per una nazione che fino a qualche anno fa aveva una discreta tradizione sui 42,195 km, mettendosi addirittura in cattedra ad insegnare agli altri come la si corre. Meucci, l’uomo su cui si sarebbe dovuto puntare, è apparso fuori luogo fin dai primi metri. Il pisano ha dimostrato di non avere carattere; non sa soffrire, stringere i denti, e quando la gara entra nel vivo si scioglie come un ghiacciolo sotto il solleone. Problema al piede? Mah, ci credo poco… Quest’anno avrebbe almeno dovuto vincere gli europei ad Amsterdam, ma si è perso per strada accontentandosi di un bronzo. Certo, al momento è il nostro uomo di punta, ma per carità, non paragoniamolo a Baldini. 
Da Pertile non ci si poteva aspettare molto, ma un “grazie di esistere” gli va senz’altro detto. Qualcosa meglio poteva fare La Rosa, ma lo aspettiamo a Tokyo tra quattro anni, se non prima in qualche altra competizione internazionale. 
Le maratonete invece sono arrivate al canto del cigno: tanto di cappello alla Bertone, che ha incarnato alla perfezione lo spirito olimpico. Si è guadagnata Rio, ha corso onorando la maglia, ha tagliato il traguardo soddisfatta: più di così non le si poteva chiedere. Valeria Straneo, tredicesima: brava! Il suo percorso di avvicinamento a Rio è stato tortuoso, meglio di così non poteva fare. Avrà ancora una, forse due cartucce da sparare se vuole; ma che le usi al meglio per riuscire a monetizzare il più possibile. Peccato per la distorsione occorsa alla Incerti: il suo saluto ai cinque cerchi poteva e doveva essere migliore, abbandonare al 35° km la sua terza maratona olimpica le avrà portato un enorme dispiacere.

Nello stadio, in pista e sulle pedane, si è visto ben poco di azzurro. La Grenot, che viene portata sul palmo della mano, è supponente e sulla pelle provoca più danni di un eritema solare. A parole lei è la migliore, la più forte, la più brava: è entrata in finale, sembrava che dovesse spaccare il mondo e invece… Per non parlare della sua frazione nella 4x400, l’ultima. Doveva fare la differenza, mangiarsi chi le stava davanti e invece è rimasta indifferente, assopita: la “Panterita”, come ama definirsi, ha corso con le unghie limate non mostrando quella grinta in più che si deve avere quando si corre anche per altre. Peccato, qui si è veramente persa l’occasione di portare a casa la medaglia. 

Altre emozioni? Nessuna, nemmeno a veder saltare la Trost. Chissà che il cambio di allenatore non le dia un po’ di vitalità. In una gara con un progressione assurda, che l’ha resa noiosissima, la friulana è rimasta sempre ai margini del discorso medaglie. La ragazza ha bisogno di una scossa, di una botta di vita.

Gara sufficiente se non di più (per stima e simpatia) per la barlettana Veronica Inglese: ha corso i 10.000 pagando l’esordio in una competizione planetaria, è caduta, si è rialzata frastornata perdendo un po’ il senso del ritmo e della corsa. Ha 26 anni, è giovane, non bruciamola subito facendole provare la maratona in vista di Tokyo 2020.

E ora cosa succede? E’ certo, o quasi, che il DTO Massimo Magnani abbia le ore contate. Giomi gli ha scaricato addosso le colpe e Malagò non l’hai mai visto di buon occhio. Ma si dimetterà prima delle elezioni federali o aspetterà il loro esito? Molto più probabile la prima, ma staremo a vedere.

Il presidente Alfio Giomi è sempre stato chiaro e appena eletto, nel dicembre 2012, rispose così a chi gli chiedeva se era vero che alla scadenza del primo mandato non si sarebbe ricandidato: “Sì, lo ribadisco. Ma soprattutto perché se qualcuno, dopo quattro anni, venisse a chiedermi di rimanere, sarebbe il segno che il mio lavoro non ha prodotto il risultato auspicato”. Coerentemente a quando disse, si è già ricandidato, magari gli hanno chiesto di rimanere proprio perché il risultato non è stato quello auspicato, forse per far male per altri quattro anni.

Ci ricordiamo com’era cominciata l’era Giomi? Con l’oro e il bronzo di Lalli e Meucci agli EuroCross di Budapest 2012. Il 13 dicembre, a Chia, si correranno gli Europei di cross e avremo già il nuovo consiglio federale. Vincere per poi rimanere nell’oblio per altri quattro anni, o… far male ma consci di aver intrapreso un nuovo percorso che ci porti in Giappone con un nuovo spirito?

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