Mentre restiamo ancora in paziente attesa di conoscere quale piano d’azione sarà predisposto dopo l’incontro Giomi-Malagò, a seguito dell’ennesimo fiasco mondiale della nostra atletica, ecco il caso Tamberi. Per i pochi che ancora non lo sapessero, il saltatore Tamberi si sta allenando e giocherà un’amichevole con una squadra di basket professionistica. Mettendo a rischio d’infortunio il suo preziosissimo fisico. FIDAL e Fiamme Gialle l’hanno presa bene, ma non benissimo.
Non vorremmo dilungarci troppo su questa vicenda, che mostra comunque un livello dilettantistico elevato da entrambe le parti. Agli atleti professionisti viene fatto firmare un contratto che vieta certi sport o la guida di motocicli o comunque quelle attività che possano mettere a rischio l’integrità fisica dell’atleta. Alla FIDAL non ci hanno pensato? Ed anche se così fosse, possibile che nessuno segua il gioiellino Tamberi passo dopo passo, impedendogli queste sbandate? E si che alla FIDAL mancano le medaglie iridate, mancano tante cose, ma a numero di dirigenti stanno abbastanza bene.
Purtroppo la vicenda si è trasformata in un clamoroso autogol, non solo per questi motivi, ma anche perché Tamberi, intervistato, ha confessato che tra il salto ed una bella partita al campetto, non ha dubbi: viva il basket. E da ex cestisti facciamo fatica a dargli torto.
Insomma in casa FIDAL si ritrovano con un campione ed un personaggio che con la sua barba a metà buca lo schermo. Invece che valorizzarlo, che usarlo come testimonial dell’atletica, cosa fanno? Nulla. Con i risultati che sappiamo. Mentre gli altri sport che non si chiamino calcio, usano i loro atleti simbolo per fare propaganda, emblematico il caso della Pellegrini. Al contrario per l’atletica, l’ultima azione efficace che si ricordi è stato l’utilizzo di May, Howe e compagnia per gli spot di una merendina. E non siamo sicuri sia stata un’iniziativa federale.
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