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All’alba di sabato 22 luglio 2017 mi trovavo alla Bocchetta di Campiglia, poco sopra il Passo Xomo nel vicentino provenendo dal Monte Alba: esattamente cento anni dopo la realizzazione di quell’opera d’ingegneria militare che è la “Strada delle 52 gallerie del Pasubio”. Mi accingevo a percorrerla durante la gara di corsa in montagna di 80 km e m. 5.500 d+ denominata Trans d’Havet. Non sono la persona indicata a descrivere le vicende belliche della Grande Guerra avvenute sul quel Sacro Monte. Tuttavia, è radicato in me quel forte senso di Patria e, durante la salita in solitaria dei 6,555 km (di cui m. 2.280 in galleria) di mulattiera, realizzata in appena otto mesi (da febbraio a novembre dell’anno 1917) con una pendenza mai eccessiva, scavata sulle pareti a precipizio del versante nord del Pasubio, l’orgoglio misto ad esaltazione e la commozione che ho vissuto pregando (sì pregando) ha raggiunto l’acme. Orgoglio, perché in Italia, se si vuole, le opere si realizzano bene e in tempi brevi. Commozione per i giovanissimi soldati ubbidienti che hanno realizzato questa sbalorditiva opera e per le migliaia di vite imberbi spezzate dalla follia bellica. Insomma, se fossi un governante, obbligherei ogni persona in forze (maschietti e femminucce) a percorrere “La Strada delle 52 Gallerie del Pasubio”, e i benèfici balsami si farebbero subito sentire, cioè l’Italia non sarebbe derisa, ma se ne tesserebbero infinite lodi: come ha fatto nell’ aprile scorso l’erede al trono della Terra d’Albione, il principe Carlo d’Inghilterra, durante la sua visita ufficiale. Ne sono fermamente convinto.
La Trans d’Havet non è solo la citata celeberrima strada. E’ altro, molto altro. Di carne al fuoco ce n’è molta: la cronaca sportiva è già stata fatta per cui mi astengo dal ripeterla. I numeri sono consolidati nonostante un calendario trail molto ricco. Si parte da Piovene Rocchette, per un doveroso tributo al re della NYM Orlando Pizzolato, e si finisce a Valdagno nella valle dei lanifici (e credo che in Italia non esista persona che non abbia indossato un indumento fabbricato Marzotto).
La doppia formula della quaranta e ottanta km ha raccolto un totale di 650 partecipanti di diverse nazionalità. L’organizzazione è rodata dopo cinque edizioni di successo.
In sincerità non ho simpatia per le gare che partono a mezzanotte. Non che sia un dormiglione, anzi con l’avanzare della terza età l’amicizia con Morfeo si allontana; tuttavia, dopo la sudata per salire al Monte Summano, al primo rifornimento non ho potuto rinunciare alla birra ricca di sali minerali; e il suo contenuto alcolico mi ha fatto sprofondare in una crisi di sonno terribile.
Procedevo barcollando (così mi fece notare un atleta che mi seguiva) e ho tirato fuori tutta la mia determinazione per superare la tremenda crisi, terminata al Monte Novegno dove spirava una brezza piuttosto fredda ma che mi ha svegliato dal torpore.
C’è stata un’allerta meteo per la nottata, quindi era pronto il piano alternativo per bypassare il Summano, i Colletti di Velo e il Monte Novegno. La probabilità di pioggia indicava il 75%, e il fronte temporalesco avrebbe scaricato la solita gragnola di fulmini come spesso accade sulle Prealpi vicentine nei caldi mesi estivi. Nulla di questo è successo. Tutto si è fermato alle porte del Pasubio. Insomma, a parte il caldo iniziale e finale a valle per giungere a Valdagno, si è viaggiato con una temperatura ottimale e, con un cielo leggermente velato, ho affrontato il tratto veramente impegnativo, ovvero la china spaccacuore del Monte Carega. Un miracolo? Quando sono arrivato in cima al Summano sono rimasto un attimo in contemplazione davanti all’impressionante croce alta quindici metri, con il Cristo di acciaio inossidabile, e poi al notevole panorama notturno sulla pianura vicentina e i Monti Berici, per cui tirate voi le somme.
Si usa il toponimo di Piccole Dolomiti per identificare la catena montuosa che abbraccia le province di Vicenza, Verona e Trento. Rispetto alle sorelle maggiori situate più a nord hanno un’altezza meno elevata, ma il fascino è lo stesso: sono montagne belle da morire. Il Sengio Alto con il monolite del Cornetto e poi il gruppo del Carega che si sono mostrati in tutta la loro magnificenza.
Stavo per dimenticare il festeggiato, da cui il nome del trail: il generale Giuseppe d’Havet. Due gallerie gli sono state intitolate: la seconda della mulattiera del Pasubio, e quella che dà accesso alla Strada degli Eroi. Non è stato tradito il proverbiale spirito di corpo degli Alpini. I componenti dell’Associazione nazionale hanno fornito la determinante assistenza a tutti i partecipanti della gara; insomma tutti indistintamente hanno dato il meglio di sé, così come il personale del soccorso alpino. Nel profondo della notte, sparsi per la montagna, illuminavano con le torce i passaggi pericolosi ai Colletti di Velo! Mai visto un servizio simile. Tuttavia, ai rifornimenti un tavolo in più non avrebbe guastato, visto l’affollamento. A parte alcuni passaggi tecnici, tra cui il crinale per raggiungere la Cima Marana e la prima parte della lunga discesa per arrivare a Valdagno dentro la faggeta, il percorso è risultato godibilissimo con panorami immensi, per chi si era seriamente allenato.
Insomma, la Trans d’Havet non è un trail da improvvisare: è una bella faticaccia che ti ripaga con gli interessi e dove s’incontra un’infinità di bella gente. Un grazie di cuore all’Ultrabericus Team.