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Poiché le disgrazie non vengono mai sole, alla figuraccia londinese della nostra atletica, si è aggiunta la “martellata” di Marco Lingua, il miglior Italiano su pista, nonostante sia un Master.
Lo “scandalo”, come lo definisce Marco, è che a lui ogni anno vengono erogati 3000 euro, zero alla sua allenatrice, la moglie, mentre ci sono ben 33 atleti di fascia A che percepiranno un riconoscimento tra i 7500 e i 12500 annui, stesse cifre per i loro tecnici.
Per chi non fosse a conoscenza della situazione va chiarito che ogni atleta ha il suo tecnico personale; se, per esempio, un atleta di Benevento fosse arruolato nei Carabinieri, non si trasferirebbe a Bologna dove ha sede il Gruppo Sportivo agli ordini del tecnico dei CC, ma resterebbe a casa sua e continuerebbe la preparazione come prima, idem se viene convocato in Nazionale, è come se ogni calciatore avesse il suo allenatore anziché il solo Ventura.
L’argomento del contendere è quanto mai significativo ed illuminante su una realtà sconosciuta ai più.
Dalla reazione a caldo di Elio Locatelli, D.T. della nostra Nazionale di Atletica, richiamato dalla meritata pensione come salvatore della Patria dopo le Olimpiadi di Rio, abbiamo appreso che “di 33 atleti di alto livello, a Londra ne erano presenti solo 17” (?!)
Quindi abbiamo 16 atleti che NON sono andati a Londra e riceveranno lo stesso più di 1000 euro al mese? Da notare poi che sono quasi tutti “militari” e, quindi, percepiscono uno stipendio che NOI Italiani paghiamo per un lavoro che non fanno, siamo proprio il Paese di Bengodi, per alcuni privilegiati.
Oddio, visti i risultati, potevamo fare a meno di mandare anche quei 17, ma avremmo erogato sempre e comunque almeno 600.000 euro, pazzesco!
E’ un sistema che fa acqua da tutte le parti, non si può concedere uno stipendio a chi deve conseguire dei risultati, bisogna stabilire un bonus legato al raggiungimento degli obbiettivi.
C’è un ulteriore elemento da considerare, sempre dallo sfogo di Locatelli, “deve essere chiaro che non si allena per telefono”, cosa significa?
Da un lato il tecnico dell’azzurro deve occuparsi anche degli atleti delle Società per le quali è tesserato (è ammesso il tesseramento plurimo), inoltre avrà degli allievi “avventizi” e altre attività, per arrotondare il magro bilancio.
Dall’altro è sempre più diffusa la tendenza di molti atleti di recarsi all’estero dove ci sono condizioni ambientali più favorevoli; come può un tecnico che vive a Milano “allenare” il suo atleta che risiede per esempio a Birmingham?
Siamo veramente alla farsa, cosa aspettano le alte sfere della FIDAL a dimettersi per palese incapacità?
Come diceva il grande Principe della risata, Totò, l’unico commento possibile è “…e io pago!”