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Che l’ormai ex sindaco Renzi avesse completato la 42 km della sua città, entrando a pieno diritto nel club dei maratoneti ci era già noto, d’altro canto non è il primo premier-maratoneta nella storia della Repubblica, preceduto nell’impresa da Romano Prodi a Reggio Emilia. Sapevamo anche che continuasse a cimentarsi in gare podistiche a Firenze e dintorni, sebbene il sospetto fosse che lo facesse più per dovere istituzionale che per vera passione. Quello che non sospettavamo era che nutrisse ancora interesse per le grandi distanze, visto che ieri è stato fotografato con il libro “L'arte di correre” del giapponese Murakami Haruki.
Chi vuole saperne di più su questa opera, può leggersi la nostra recensione (in calce al testo). Resta il fatto che anche in questo caso Renzi pensa in grande, in quanto Murakami Hakuri descrive anche le sue esperienze sulla 100 km…
Non vi è dubbio che la disciplina del giapponese potrebbe aiutarlo a superare tutte le insidie che si nascondono in politica, sempre che sappia fare tesoro degli insegnamenti dell’autore o che non venga… squalificato prima. In tal caso forse avrà tutto il tempo necessario per preparare coscienziosamente anche il “Passatore”.
In fondo si parte proprio da Firenze, sotto casa sua…
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Recensioni: “L'arte di correre” di Murakami Haruki
Era un po’ di tempo che vedevamo questo libro in mano a diversi runners e stavamo per acquistarlo, quando l’amico Pierangelo Bergonti ci ha preceduto, regalandoci l’opera del giapponese Murakami Haruki, edita da Einaudi (157 pagine, 18 Euro).
Non conoscendo la lingua madre di Haruki, non sappiamo quanto fedele sia la traduzione del titolo. Di certo riteniamo non renda l’idea del suo contenuto. Qualche sospetto ci viene dal titolo dell’edizione inglese: "What I talk about when I talk about running", ovvero "Di cosa parlo, quando parlo di corsa", che ci sembra senza dubbio più azzeccato.
Quindi non un libro sull’arte di correre. Anzi l’autore, nonostante i gran chilometri corsi e le tante gare disputate, da quelle brevi ad un’ultramaratona, ci sembra commetta ancora degli evidenti errori di preparazione, come correre sempre lento, senza effettuare i cosidetti “lavori”. Oppure correre una mezza in 1h55’ e poi seguire i pacer delle 3h45’ in maratona, salvo inevitabilmente scoppiare al km 25, come il classico neofita, mentre lui ne ha già corse oltre venti. Sia chiaro, ognuno è libero di fare ciò che vuole, ma poi non bisogna lamentarsi del fiasco.
Ma lasciamo andare gli aspetti tecnici, anche perché Haruki, tra l’altro dotato di buona autoironia, non ha certo nessuna intenzione di scrivere un manuale sull’arte del running. Qui parliamo di autobiografia, o ancora meglio di memorie sparse sulla corsa con relative emozioni e riflessioni.
Nella lettura del suo rapporto con questa pratica abbiamo trovato la parte più godibile del testo, cosi come nelle descrizioni di alcuni ambienti, mentre in altri punti il racconto ci è sembrato meno scorrevole.
A parte dolersi per le decrescenti prestazioni causate dell’inevitabile invecchiamento, c’è da dire che l’autore ama visceralmente la corsa e che in fondo, in ogni gara i suoi veri obiettivi sono tre: correre per piacere, tagliare il traguardo e non camminare mai, precetto che ha anche applicato ad una 100km, con risultati autolesionistici simili a quelli di un samurai che intende autopunirsi! Ma non aggiungiamo altro se non confermare che Haruki è un personaggio particolare. Ditemi in quanti, all’esordio sui 42km, decidono di andare in Grecia e correre in solitario da Atene a Maratona e non viceversa!