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Sappiamo già come è finito il campionato disputato domenica scorsa a Los Alcazares, in Spagna (http://magazine.podisti.it/2013/index.php/component/content/article/29188-los-alcazares-spagna-iau-world-100k-2016.html).
La squadra maschile non è riuscita a difendere l’argento a squadre, mentre la squadra femminile non ha visto azzurre al traguardo
Di seguito approfondiamo la conoscenza di alcuni atleti attraverso le risposte ad un mio questionario di alcuni mesi fa. La prima domanda era:
Qual è stato il tuo percorso per diventare un ultramaratoneta?
Giorgio Calcaterra: “Sono diventato ultramaratoneta con molta gradualità, quindi non me ne sono quasi accorto; dopo aver corso decine di maratone è stato per me normale e semplice superare la distanza.”
Andrea Zambelli: “Mi sono avvicinato al podismo nel 2009 per puro caso. Allora andavo in bici e nel periodo invernale spesso correvo, quindi mi è venuta l’idea di provare una maratona. Dopo qualche mese di allenamento il mio esordio alla maratona di Reggio Emilia (2h50’). Da quel momento mi sono innamorato di questo sport. Dopo varie maratone ho provato a correre qualche 50 km fino ad arrivare al Passatore”.
Silvano Beatrici: “E’ stato un percorso lungo diversi anni. Allenamenti sempre più lunghi, gare lunghe con gli sci (Mezzalama, Pdg solo per citarne 2), prova di un trail da 70km uscendone bene con ottimi risultati. Poi 86 e 118 km, fino all’UTMB. Così mi è accaduto di ‘provare’ il Passatore, ritrovarmi 5° e entrare in nazionale”.
Paolo Bravi: “Mi sono cimentato nell’ultramaratona solo nel 2011, a 37 anni dopo tanti anni da running e da maratoneta, essendo datata 1993 la mia prima maratona!”.
Francesca Canepa: “Nel 2010 dopo una granfondo con gli sci ho capito di non faticare su distanze da molti ritenute già ‘lunghe’: lì erano 45 km. Così qualche settimana dopo ho provato un trail di 26 km e la settimana seguente ho provato una maratona vera, chiusa in 3.29 senza essere stanca. Nel 2011 ho gareggiato su distanze fino a 100 km, sempre in natura, e nel 2012 fino a 330km (Tor des Geants)”.
Cosa ti motiva ad essere ultramaratoneta?
Andrea: “Il piacere di correre, la sfida con me stesso, le emozioni che provi durante e dopo una gara del genere, e ti porti dentro per tutta la vita!”
Silvano: “I risultati, l’aria che si respira nell’ambiente, gli allenamenti, anche se duri: in realtà è ciò che cerco.”
Francesca: “Mi piace l’endurance, spostare i confini di ciò che si ritiene di poter fare, provare a correre sempre più forte anche dopo molte ore. Adoro la sensazione di fatica appena finita la gara e vederla trasformarsi in recupero già nel giorno seguente. Io recupero subito”.
Hai sperimentato l’esperienza del limite nelle tue gare?
Giorgio: “Il limite si può sperimentare anche solo correndo 100 metri al massimo, è il limite di quel momento. Quindi sì, spesso nelle mie gare do il massimo e quindi ricerco il mio limite”.
Andrea: “Probabilmente, durante il Passatore 2015 ho ‘raschiato il barile’: al 60° km a causa di una partenza troppo veloce ero veramente stremato, non so come ho fatto ad arrivare al traguardo”.
Silvano: “Non mi sono mai ritirato. Vuol dire che a volte sono arrivato distrutto. Ho patito sonno, crampi, dolori, ma alla fine il fisico si autolimita”.
Francesca: “In realtà mai, in genere ascoltando bene i segnali non mi succede. Ho sperimentato il limite psicologico, quello che per noia, brutte sensazioni o mancanza di reale motivazione mi ha fatto staccare il pettorale. Ma non è mai successo per un limite dato dall’esaurimento fisico”.
Quali meccanismi psicologici ritieni ti aiutino a partecipare a gare estreme?
Silvano: “Avere un carattere forte e sicurezza in se stessi, ma sempre con quell’umiltà di conoscere i propri limiti e le proprie condizioni durante la gara”.
Francesca: “Il semplice concentrarsi sul qui ed ora, mettere un piede davanti all’altro sapendo per certo che se la testa tiene il corpo mi segue”.
Importante nelle gare estreme da una parte avere tanta sicurezza in se stessi e quindi elevata autoefficacia, inoltre è importante conoscersi bene, sapere fin dove ci si può spingere e monitorarsi durante la gara.
Cosa ti spinge a spostare sempre più in avanti i limiti fisici?
Giorgio: “Io nelle mie gare cerco sempre se posso di migliorarmi, è l'istinto che mi porta a farlo”.
Andrea: “Cerco sempre di allenarmi al meglio e di conseguenza di spostare avanti i miei limiti”.
Silvano: “Per me spostare avanti i limiti fisici non vuol dire fare più km, ma ad esempio migliorare la mia prestazione sulla 100”.
Francesca: “La curiosità e la sensazione che il corpo comunque tende ad adattarsi, e che se non faccio cose stupide tutto è possibile”.
Paolo: “La voglia di fare sempre meglio…e non accontentarsi”.
Superare i limiti non significa solo la lunghezza o la durezza del percorso ma anche una miglior performance, che comporta un impegno maggiore, più determinazione, più coraggio.
Che significa per te partecipare ad una gara estrema?
Paolo: “Fare qualche cosa al limite delle proprie possibilità e del proprio controllo”.
Francesca: “Sapere con certezza a che ora parto ma non avere garanzie sul quando e sul se arrivo. Significa prepararmi ad affrontare eventuali imprevisti e sapere che sarà impegnativo mentalmente”.
Cosa hai scoperto del tuo carattere nel diventare ultramaratoneta?
Giorgio: “Conoscevo già il mio carattere;che a volte sono un po' testardo non l'ho scoperto facendo l'ultramaratoneta, ma sicuramente l'essere ultramaratoneta me lo ha confermato”.
Andrea: “Non avrei mai immaginato di riuscire a sopportare tanta fatica. Sono molto tenace e determinato”.
Francesca: “Più che scoperte, direi che ho avuto la conferma che se una cosa mi piace, se ci credo, nulla può impedirmi di portarla a termine. Se invece per qualsiasi motivo non provo più nessun piacere nel farla, semplicemente smetto di farla, qualunque sia la posta in gioco. Non mi arrendo se ne vale la pena, non riesco a considerare obiettivi imposti o caldeggiati dall’esterno. Il termine ultra amplifica anche la ribellione”.