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Antefatto: l’8 dicembre, in un raggio di trenta km della provincia di Modena, tra le 9 e le 10 si sono disputate ben quattro gare podistiche: a Carpi, La Sfetleda, una 20 km non competitiva (e distanze minori: vedi servizi fotografici di Morselli e Carri; iscrizioni a 1,5 euro); a Modena città, nel Parco Ferrari ultima prova del campionato provinciale di corsa campestre (iscrizioni a 2 euro); e con partenza da Piazza Grande il Christmas Run, non competitiva da 5 km organizzata dalla Maratona di Verona e direttamente da Stefano Stanzial, con obbligo di correre vestiti da Babbo Natale (iscrizioni a 12 euro comprensive del costume; 6 euro per chi l’aveva già; sconti per famiglie); a Spilamberto, di contorno a una storica manifestazione di ciclocross, podistica competitiva o no di 10 km, con forse un centinaio di agonisti (sebbene le classifiche ufficiali se ne siano persi vari; iscrizione 5 euro). Nei blog locali di podismo, anche per combattere la nebbia e il freddo, ci si scalda a discuterne.
Ecco il parere di Massimo Muratori.
Coppi o Bartali?
Che l’italiano, per sua natura, sia incline a prendere posizione netta a favore di una parte piuttosto che dell’altra è, direi, assodato. Quando poi si parla di sport in tutte le sue sfaccettature la polemica è dietro l’angolo: Coppi/ Bartali appunto, Mazzola/ Rivera, Guzzi/Gilera, Rossi/ Biaggi, e chi più ne ha più ne metta. Non ci sarebbe nulla di male, se in queste levate di scudi trovasse spazio la semplice ammissione che in entrambe le fazioni possa esserci del buono; invece, nossignori! il mio idolo è il campione assoluto e l’avversario è arrivato lì solo per circostanze fortunate.
Venendo alle cronache di questi giorni che parlano del (nemmeno tanto piccolo) mondo del podismo, mi sembra di intuire che molte prese di posizione vadano esattamente in quella direzione; nella nostra provincia di Modena, nell’ultima giornata festiva abbiamo avuto ben quattro possibilità di fare una corsetta, e già mi sembra una buona cosa: anche lasciando ai giovani competitivi la gara del parco Ferrari, ben 2000 persone sono andate a Carpi, 1000 per le vie del centro di Modena e qualche centinaio a Spilamberto [84 classificati, più i non competitivi, più quelli che si sono persi: NdD] con costi di iscrizione variabili da 1,5 a 12 euro. Quello che non comprendo sono le prese di posizione di chi si erge a supremo giudice per pontificare in favore di una o l’altra gara, dichiarando nel contempo che la competizione “avversaria” racchiude tutto il male possibile, insomma gratificando alcune centinaia o migliaia di persone della qualifica di babbeo per essersi fatto spennare, oppure per essere andato a correre su un percorso vecchio di 40 anni, o di aver fatto due giri uguali.
Fatto salvo l’inalienabile diritto di opinione, non mi sembra costruttivo sparare a zero su quanto non prediligiamo: personalmente ero a Carpi a fare i 20 km, che mi facevano comodo come allenamento lungo, anche se in realtà non è il tipo di corsa che amo di più. Non sarei mai andato fare un doppio anello, cosa che ritengo assai noiosa; e men che meno per una corsetta da 5 km mi sarei mascherato in rosso (l’unica volta che mi costrinsero a farlo, per consegnare i regali ai figli del vicino che avrebbe ricambiato la cortesia, sono stato sgamato in tre secondi da un pargolo assai più sveglio di noi); ciò detto, non vedo nulla di male nelle scelte differenti dalla mia.
Nel tipo di gare a cui partecipo con maggior frequenza, cioè corse in montagna fuori strada, con soddisfazione che è inversamente proporzionale ai miei scarsi risultati, ho assistito negli ultimi anni a una crescita di partecipazione di atleti e atlete, forse provenienti dalla strada, una discreta parte dei quali mi sembra più attirata dalla moda del momento o dalla appartenenza a questo o quel gruppo che non dal piacere di una corsa che permette di stare con se stessi per molto tempo in un ambiente stimolante e insieme altrettanto rilassante. Non mi piace l’omologazione di atteggiamenti, indumenti griffati, attrezzature da atleti estremi sfoggiati ed esibiti come status symbol dell’essere un super eroe.
Non mi piace, ho detto, ma rimane un mio personale e contestabilissimo parere: ritengo che le altrui scelte non mi riguardino minimamente, perché non mi impediscono di decidere quando e dove andare a fare una corsetta.
Invece io…
… l’8 dicembre sono andato a Spilamberto; un anno fa, lo stesso giorno ero andato a Carpi; due anni fa avevo corso la campestre del parco Ferrari. L’unica delle quattro ‘corse’ (ma il termine è improprio) che non ho intenzione di fare è la carnevalata natalizia (già mi sta sulle scatole Babbo Natale, americanata commerciale come Halloween); come pure non ho mai corso un Color Run né un Run 5.30 né uno Strongman dove ci si arrampica sulle carcasse delle auto o si striscia sul fango tipo paludi del Vietnam. Devo però riconoscere che a questi tipi di gare vanno centinaia o spesso migliaia di giovani, che – siccome in Italia c’è la crisi, e la disoccupazione giovanile è su tutte le bocche – non hanno difficoltà a spendere cifre che noi gente all’antica spendiamo per una maratona, pur di selfeggiarsi e fighettare su facebook. Magari il bonus di 500 euro si può impiegare anche così. E se poi questo bonus finisce nelle tasche di imprenditori che hanno fiutato lo spirito dei tempi, meglio per gli imprenditori (soprattutto se ci pagano le tasse); e i paganti… prima o poi qualcuno che gli ripiana il deficit lo trovano, basta piagnucolare un po’ e la paghetta arriva. Dubito assai che questi podisti colorati diventeranno mai degli sportivi autentici (forse li si potrebbe definire post-sportivi), però, frivolezze a parte, male non fanno, e dunque ben vengano (o meglio, ben vadano): meglio lì che in un night sulle colline riminesi.
Gli altri tre tipi di gara, come sottolinea Muratori, hanno ciascuna i propri lati positivi: le tradizionali camminate non competitive rappresentano spesso l’ultima occasione di moto per pensionati che hanno ormai poco da chiedere alla vita, se non un po’ di socialità (che peraltro i pensionati stessi sembrano rigettare, praticando la moda delle partenze anticipate a gruppetti di 3 o 4, e semmai socializzando esclusivamente davanti ai ristori, dove si ritrovano famelici a centinaia); mentre ai sempre più rari under 40 servono come relax tra una competitiva e l’altra, o come allenamento in compagnia.
Le competitive come quella di Spilamberto servono per misurarsi più seriamente (fatta la tara all’organizzazione un tanto al badile), senza logorarsi all’estremo data la distanza non troppo impegnativa (pressoché tutti i piazzati lì sono maratoneti, che preparano questa o quella 42 km, a cominciare dalla imminente di Reggio); e data la larghezza delle premiazioni (dieci uomini e dieci donne) consentono ai cosiddetti cacciatori di prosciuttini e salamelle di ripartire con una borsina della spesa non indifferente. Per quelli come me che a premio ci vanno ad ogni modifica di Costituzione, la gara di Spilamberto va cerchiata in rosso per la magnificenza del ristoro finale ‘contadino’, tra crescentine, salumi, vini bianchi, vin brulé ecc., tanto da far perdonare le classifiche piene di quiproquo.
Infine, la campestre è la più pura delle gare: l’unica cui vadano bambini e ragazzi in numero superiore agli “amatori”, in cui non ci sia pacco-gara (qualche volta, ma non sempre, una medaglietta), in cui si va costantemente alla massima velocità possibile; insomma, si corre senza altro tornaconto che la soddisfazione personale e i punti da portare alla squadra. Un po’ come succede nei trail, che sono certamente – come rileva ancora Muratori – un fenomeno di moda con un pizzico di esibizionismo, cui però corrisponde inevitabilmente la fatica, quel tanto di rischio che manca agli altri tipi di competizione, e soprattutto la possibilità di attraversare paesaggi negati alla vita di tutti i giorni.
Fermo restando che fra vent’anni la stragrande maggioranza di chi ora affolla le non competitive starà formando terra da pignatte, chi vivrà vedrà quali tipi di gare a piedi esisteranno ancora. [F. M.]