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Con un colpo di magia, nel giro di un mese, un modo di dire, una frase fatta, diventano realtà.
A tradurla tale ci ha pensato la ruota della vita tramite la dipartita di due personaggi totalmente diversi ma accomunati da una identica passione: la corsa.
Partendo dalle stelle, tutti i podisti dell’ultima ora conoscono certamente Giovanni Bignami se non altro perché qualche volta lo hanno visto in tv a raccontarci le sue tapasciate spaziali. Spaziali nel vero senso della parola perché lui nello spazio ci correva, non con i piedi ma con la testa. Per lui l’allenamento aveva dimensioni cosmiche, non aveva la misura dei kilometri ma degli anni luce.In uno di questi, mentre correva ripeto, soprattutto con la testa, percepì la presenza di una stella (o qualcosa di simile). Invisibile, ma c’era. Dimostrò alla scienza in modo opportunamente scientifico ed inoppugnabile la sua esistenza e si guadagnò il diritto di battezzarla. Lasciando da parte tutti i nomi latineggianti ed i paludamenti sottesi al latinorum, la chiamò “G(h)eminga” che, tradotta dal milanese significa “cosa che non c’è”. Questo battesimo non comune la dice lunga sull’effervescenza intellettuale e sulla sostanziale modestia (niente latino, niente inglese, solo il suo dialetto) che lo animavano. Di questa effervescenza e modestia ne goderono a piene mani i podisti frequentatori d’antan del glorioso Campo Giuriati a Milano Città Studi. A quei tempi frequentato anche da Ambrogio Fogar. Esploravano, entrambi a loro modo, un qualcosa: uno, “finito” nei ristretti confini del nostro pianeta; l’altro, “infinito” negli inesauribili spazi cosmici.
Togliamoci la tuta spaziale e infiliamo gli stivali per entrare in stalla.
La memoria mi porta ad una prova del Trofeo Monga di 25 o 30 anni fa. Località Vidigulfo (PV). 30 centimetri di neve croccante. Cielo di un azzurro impossibile (a volte capitava anche in pianura). Temperatura di parecchio sotto lo zero. La segreteria allestita in una stanza/cucina con camino. Allora, l’efficienza dei giudici era affidata alla matita che, nei confronti delle modernissime biro, non gelava mai. Però gelavano (sempre) le dita che l’impugnavano. Ma questo è tutto un altro discorso….
Allora era rigorosamente in uso lo spogliatoio “en plein air”. E Antonio Balducci (personaggio carismatico dell’allora Movimento Amatoriale) che arrivana sempre tra i primi con il suo GS Zeloforamagno (non solo nella logistica ma anche nelle classifiche), indirizzava tutti i corridori che arrivavano a frotte verso un porticato delimitato da balle di fieno, sperando di far loro cosa gradita. Era una stalla provvisoria che il contadino usava nel periodo estivo. Ma stalla era rimasta e non aggiungo altro. Il flusso di arrivo ogni tanto veniva interrotto da qualche atleta contromano che non era per nulla contento della soluzione (le balle di fieno sulle quali sedersi pungevano le chiappe, il letame ormai secco e per giunta congelato era pur sempre letame….) e preferiva tornare alla propria macchina.
Passa la mattinata e la gara reclama le classifiche. In cucina (pardon, in segreteria) compare per incanto una bottiglia di grappa senza etichetta e tappata col sughero. Nessuno l’ha portata (o non lo vuol far sapere); potrebbe anche essere un omaggio del contadino, impietosito dai nostri patimenti termici: il camino andava ma, con l’incessante via vai, la porta era sempre aperta. Mancavano i bicchieri e qualcuno si rifiutò, schifato, “di bere a canna”.
Quando gli veniva il pensiero, gli occhi del Balducci si animavano di una luce particolare, e luccicavano quasi come quelli del Bignami.
Mi chiama da parte ed io, già col sorriso sulle labbra, aspetto la sua cavolata vocale.
Dice, sottovoce: “Siamo dei rivoluzionari del kaiser. Non abbiamo compreso Lenin. Il Movimento non sarà mai Rivoluzione. Un grappino ha incrinato l’unità dell’intellighenzia e un po’ “de ruud spandegà” (letame sparso) quella delle masse”.
Antonio, tranquillo! La tua voglia di uguaglianza adesso te la togli tutta in compagnia del Nanni. E attento al Nanni che lui, la grappa, la usava anche per conservare il formaggio. O no? Forse era whisky. …Eh, la memoria….