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E' arrivato il momento di tornare, che è anche il significato più profondo del viaggio, è come una molla che ci spinge nella rotta della nostalgia. Ciò è ovvio, perché il migrante, lo sfollato, l'esule partono per tornare. E' questa la posta della sfida che mi ha accompagnato in questo lungo esilio durato più di un anno, la dimostrazione del mio successo: tornare con un bagaglio culturale e morale più ricco e tante storie da raccontare. Ma il ritorno, nello stesso tempo, è un mito, una costruzione fantastica fatta crescere impercettibilmente, giorno dopo giorno, per resistere alle avversità, alla solitudine, alle delusioni. Un mito di resistenza. Il ritorno è un'elaborazione della nostalgia, quel lenimento sottile di malessere quotidiano che mi ha accompagnato come un'ombra inseparabile in questo anno da sfollato. Ritorno e nostalgia sono due parole che camminano insieme, dialogano instancabilmente, nella mente e nel cuore. Il mio è stato un progetto di vita a breve termine dettato dalla necessità di mettere in sicurezza quel che resta della famiglia, una paziente rivincita di chi e ciò che è stato lasciato su chi e ciò è stato incontrato.
In questo lungo tempo, quasi irreale, il Ritorno è stato preceduto da piccoli ritorni temporanei che non hanno confortato le mie grandi attese, anzi hanno bisticciato con esse prendendo a pretesto inattesi conflitti suscitati dagli inevitabili mutamenti intercorsi, il diavolo con la sua "cacca" (denaro e altro...) ha preso possesso delle mie terre martoriate senza che io me ne sia avveduto, è così cambiata la percezione del tempo (non quello meteorologico), sono cambiate le abitudini alimentari (in tanta abbondanza nessuno coltiva più la terra o alleva degli animali), sono cambiati gli stili di vita (non c'è più socialità ed ognuno pensa ai suoi comodi), di abbigliamento (porca miseria ! qui ora son tutti griffati...) , di svago (tutti in giro con l'I-Pod pronti a chattare nei social; nessuno ti guarda più in faccia).
E poi, talvolta, a complicare le cose, ci si mettono anche gli amori e le amicizie nati in terra straniera, che mi porto nella testa e nel cuore mentre ritorno dal mare Adriatico fino ai miei amati cromatici autunnali monti, coperti da fitte cortine di boschi, attraversando la feconda vallata del Tronto circondata da colline che ospitano generose vigne e giocondi oliveti. Un paesaggio complesso e mutevole si apre, giocato sul contrastato ricordo dei villaggi arroccati sulle balze scoscese e ciò che ormai resta di loro. E' tempo di riaprire l'album di famiglia per rivedere limpidamente ciò che era e che non sarà più, per noi che siamo passati da case in cemento e sassi a queste minuscole abitazioni prefabbricate, tutte uguali ed anonime, che ci accolgono. Dentro sono dotate di tutti gli accessori e sono confortevoli ma non hanno il profumo della mia vecchia casa. E' buffo questo nuovo paese mi ricorda il villaggio dei " Puffi" , manca solo che ci dipingano di blu e potremmo diventare una curiosa attrattiva turistica. Ora qui c'è un eccesso di ordine, di sicurezza, stabilità, di posto fisso, di famiglia unica, ma mi mancano le antiche forme di libertà esasperata, come l'inventiva che si trasformava in piacere quando si trattava di escogitare stratagemmi moderni per custodire le antiche tradizioni tramandateci dai nostri avi.
Il terremoto ha lasciato vuoti incolmabili, ha strapazzato le nostre vite ed ha trasformato le nostre comunità rendendoci incapaci di mantenere una vera, salda e forte identità. Soprattutto facendoci dimenticare la nostra storia ed i valori degli avi : la saggezza, la pazienza, il rispetto per gli anziani e la natura: purtroppo la perdita dei nostri storici borghi di montagna ha creato tutto questo. In questi luoghi ormai vagano solo le anime dei nostri predecessori, e non sento più le sensazioni primordiali, i vecchi odori, gli antichi sapori. Qui ora tutti si sentono abbandonati e dimenticati, tanti non sono tornati, nessuno ha più l'entusiasmo di un tempo, c'è chi non coltiva più la terra, pochissimi tornano qui in vacanza. Stiamo perdendo il senso della vita, la nostra antica civiltà.
Penso a tutto questo mentre ricordo con dolcezza il mio anno da sfollato a Porto D'Ascoli, alla generosa famiglia Persico che ci ha ospitato nella sua struttura, all'amico Luigi che ha supportato le mie trasferte podistiche, alla rivista Podisti.net che ha sopportato e pubblicato le mie noiose cronache, quasi "nenie"; alle lunghe uscite in ski-roll sulla bella ciclabile del lungomare, alla meravigliosa famiglia che è la redazione della rivista letteraria UT in cui ho avuto l'opportunità e l'onore di esprimere il mio acerbo talento, all'associazione Omnibus Omnes - Tutti per Tutti che mi ha reso partecipe delle sue solidali ed encomiabili iniziative; ed a tutti quelli che nella loro immensa solidarietà non mi hanno fatto mai sentire solo. Grazie a tutti!
Ora mi rimane solo una cosa da fare, l'ho sempre avuta nel mio DNA, riprendere a correre gli antichi sentieri dei miei avi, dove finalmente mi sentirò veramente a casa. Sono sovrappeso ed un po' inflaccidito, la sfida appare lunga e difficile, ma il mio cuore è un maratoneta che batte anche il tempo. Mentre corro tra queste splendide valli, rivedo i vostri volti e risento le vostre voci. Adesso correrò meno solo, correrò per guardare di nuovo avanti, e non avrò più paura.