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Ancora una volta scoppia lo scandalo del doping che spinge noi sportivi a riflettere sul significato che oggi ha lo sport. Diciamolo subito, chi pratica lo sport in maniera sana, va alla ricerca del benessere psicofisico e alla realizzazione di sé attraverso il successo sportivo; il vero atleta è interessato allo sport come un gioco; non gareggia per dimostrare a sé stesso di dover essere qualcuno per forza, ma gareggia per scoprire chi è lui veramente, comprendendosi ed accettandosi nei suoi limiti. Tuttavia, oggi essere sportivi sembra significare diventare ad ogni costo i primi, per questo l’atleta moderno fa ricorso a tutti i mezzi a sua disposizione per arrivare il più facilmente possibile al suo obiettivo. Tutto ciò è aggravato dal fatto che viviamo in una società che privilegia l’uso di rimedi “esterni” per risolvere i problemi, sia quelli puramente fisici che quelli psicologici. La gente non sembra più disposta a impegnarsi con fatica ed anche con coraggio ad affrontare le sfide della vita, cercando le risorse necessarie “dentro di Sé”. Si va alla ricerca del rimedio esterno per andare più veloci o per resistere di più ma anche per risolvere problemi che poco hanno a che fare con i farmaci come l’obesità e gli inevitabili momenti di tristezza che accompagnano la nostra vita. Ed ecco che il gioco delle grosse società farmaceutiche, con la complicità di truffatori e istruttori atletici senza scrupoli, è fatto! assistiamo sempre di più al proliferare di pubblicità ingannevole che ci propina i farmaci più svariati per combattere dal semplice raffreddore alla obesità e perfino per migliorare le capacità di apprendimento e per essere più felici. Nello sport il ricorso ai rimedi esterni è carico di significati particolari poiché chi fa uso di farmaci, anche se legalizzati come gli integratori alimentari, si dimostra poco leale nei confronti di altri atleti che non ne fanno uso. Tutti noi dovremmo riflettere di più e accarezzare l’idea di competere accettando anche di perdere quando incontriamo avversari più forti, riconoscendo la loro superiorità senza sentirci umiliati. Occorre riscoprire dentro di noi ed insegnare ai nostri giovani valori diversi da quelli che “la cosa che conta è essere il più bravo” sia nella competizione sportiva come nella scuola; bisogna reimparare ad essere solidali con chi è meno fortunato ed è rimasto momentaneamente indietro ed anche a ricordarci una cosa ovvia ma che spesso dimentichiamo: quando si è primi o ultimi non lo si è in assoluto.
Gerardo Pasquale Settanni
Psicologo e maratoneta