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Cos’è il GGG (Gruppo Giudici Gare)? E’ l’organismo della Federazione, che ha il compito di controllare le manifestazioni di atletica leggera, completa autonomia giudicante e competenza tecnica esclusiva nell’applicare le norme del R.T.I., nei regolamenti particolari delle manifestazioni e nelle disposizioni degli organi federali competenti, senza alcun vincolo di subordinazione.
Si può dire che i Giudici sono un tutt’uno con l’atletica fin dal 776 a.c. quando in Grecia nacquero i Giochi Olimpici: gli Ellanodici costituivano l’organo giudicante chiamato a controllare il corretto svolgimento delle gare. Erano personaggi di grande carisma, stimati per autorevolezza e condotta irreprensibile, e di potere pressoché assoluto. Con la rinascita dei Giochi nel 1896 tornò con uguale nobiltà la figura del Giudice: i primi italiani furono Alberto Alberti e Eugenio Benucci nel 1906 ai giochi “intermedi” di Atene. Altra data storica, il 12 gennaio 1936, quando per la prima volta fu deliberata la divisa ufficiale: pantaloni, calze, cintura e scarpe bianche con camicia (dati i tempi) nera.
Questo breve excursus storico mette in evidenza come giustamente la figura e il ruolo del giudice siano l’essenza stessa dell’atletica: non ci può essere gara senza che ci siano i risultati, e chi garantisce la correttezza del loro conseguimento è solo ed esclusivamente il giudice.
Per questo motivo è garantita al GGG autonomia funzionale, organizzativa ed operativa interna. A livello regionale i giudici hanno una loro struttura autonoma con un Consiglio Regionale presieduto dal Fiduciario Regionale. Esiste poi una Commissione Regionale, che predispone il piano del fabbisogno economico relativo al funzionamento del Gruppo e coordina le attività regionali in armonia con il calendario approvato dal Comitato Regionale. Per questo motivo la stesura del calendario annuale territoriale viene concordata con la Commissione e ogni eventuale inserimento nel corso dell’anno viene accettato eccezionalmente solo col suo benestare, anche se questo può comportare la perdita di qualche manifestazione.
I nostri giudici sono quasi tutti ex atleti che portano nel loro lavoro oltre la passione anche la conoscenza dei regolamenti e l’esperienza acquisite negli anni di militanza attiva. Svolgono un’opera di volontariato altamente qualificata e meritoria oltre che di grande responsabilità, e sono per questo apprezzati da tutti gli sportivi degni di tale nome: sono la “benemerita” dell’atletica.
Questo il quadro da idillio politicamente corretto; in realtà, solo fino a tre anni fa dovevano pagare la tessera annuale di adesione alla FIDAL. Prestano la loro opera gratuitamente e se devono spostarsi con un mezzo ricevono un rimborso benzina irrisorio; partecipano a corsi di formazione e aggiornamento; stanno sui campi di gara almeno sei ore e hanno la responsabilità di tutto quanto avviene durante le manifestazioni.
Nel calcio si smette di fare l’arbitro a 45 anni, mentre l’età media dei giudici Fidal è 60 anni: è indispensabile reclutare nuovi giudici, ma anche i pochi giovani che accettano di fare il corso, dopo al massimo un paio d’anni si allontanano. Occorre trovare un sistema che renda motivante il mestiere di giudice, sia dal punto di vista dell’immagine che del ritorno economico, anche in considerazione dell’evoluzione informatica nella gestione sul campo dei vari concorsi e gare.
Anche qui si paga un errore di impostazione: come esiste una Federazione Cronometristi autonoma, e nel calcio esiste l’AIA, Associazione Italiana Arbitri, così si sarebbe dovuta creare una Associazione Italiana Giudici Atletica Leggera realmente autonoma a cui la FIDAL o gli EPS dovrebbero rivolgersi per la gestione delle manifestazioni competitive pagando il servizio.
Si può ancora correre ai ripari stabilendo un piano di remunerazione in base al lavoro svolto, si potrebbero catalogare i loro compiti su tre livelli a seconda dell’impegno richiesto con un gettone di presenza, di importo da concordare, per ogni livello. Ma esiste una forte resistenza anche all’interno del GGG. Motivo? Il tabù del professionismo.
Ma non basta: le norme per essere efficaci devono essere supportate dalla SANZIONE, la giustizia deve essere RAPIDA ed applicabile nel più breve tempo possibile. Occorre dunque una riforma del sistema giudiziario con la costituzione di una Commissione Giudicante Regionale che si riunisca ogni lunedì, esamini i referti inviati dai Delegati Tecnici ed irroghi le sanzioni relative, da multe a squalifiche individuali e di società, entro 48 ore. In questo modo si fornirebbe uno strumento di grande impatto ai GGG con maggiore rispetto, o almeno timore, da parte dei tesserati.
C’è un’altra categoria di “carneadi”, i Tecnici, ma il termine è troppo “scientifico”: meglio chiamarli Formatori.
Sarebbe interessante promuovere un sondaggio su quanti Italiani conoscono i tecnici degli atleti che hanno partecipato ai Giochi Olimpici; c’è da pensare che i risultati sarebbero desolanti.
Il mestiere non è certo appetibile dal punto di vista economico, sono degli amanti dell’atletica che trovano appagamento nell’educare i loro ragazzi, nell’insegnare la loro specialità e nei risultati che essi ottengono. Prima che “tecnici”, sono maestri di vita; il mio primo formatore (avevo solo 14 anni) mi disse: “Questo è il programma settimanale di allenamento, ma se un giorno non hai voglia non venire al campo, recupereremo un altro giorno”.
Il tecnico, insomma, deve trovare la giusta misura tra il rigore e il divertimento, deve insegnare a non esaltarsi per un successo e a non abbattersi per una sconfitta. E’ una professione difficile, sospesa tra la tensione al risultato e la giusta considerazione delle necessità umane dell’atleta. Schwazer insegna, a un certo punto il suo equilibrio è saltato, il suo tecnico avrebbe dovuto intuire il suo malessere spirituale e intervenire.
Per le società di atletica su pista sono un notevole impegno economico, tra settore giovanile e settore assoluto le più strutturate hanno una cinquantina di tecnici, le medie sulla ventina, ma queste società sono una minoranza nel vasto mondo dell’atletica italiana: una su dieci secondo gli ultimi dati. Il resto è formato dalle Società podistiche che devono tesserare un tecnico (già tesserato per le società “importanti”), spesso solo di nome, e non conosce nemmeno i suoi pupilli.
L’obbligo ha un senso in una visione ideale del “podismo”: sarebbe oltremodo auspicabile che i podisti non fossero dei “fai da te” con tutti i guai connessi, dagli infortuni al doping dei poveri, ma questo sarebbe possibile solo con un’auspicabile evoluzione culturale delle società podistiche nell’attività non stadia, guidata e sostenuta dalla Federazione, ma sempre più lontana e irraggiungibile.
I tecnici sono anch’essi dei volontari: se si mettesse in piedi il circolo virtuoso di attenzione all’atletica di cui ho già parlato, ci sarebbe un riconoscimento tangibile, che porterebbe nuove leve e, quindi, maggiore supporto quantitativo e qualitativo agli atleti.