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Se è vero che nessuna manifestazione agonistica può avere inizio senza la presenza dei Giudici (e del medico), è anche vero che senza i protagonisti lo spettacolo non può esistere.
Ai tempi dell’antica Grecia i protagonisti erano gli ATLETI, dal termine athletes che vuol dire lottatore, erano guerrieri che ogni quattro anni deponevano le armi e si sfidavano in modo incruento nelle Olimpiadi; e tutte le specialità, non solo dell’atletica leggera, erano esercizi finalizzati all’attività bellica.
Dagli scorsi anni ’80 il panorama è profondamente cambiato a causa del Podismo: l’atletica è l’unico sport in cui si può gareggiare coi campioni più prestigiosi; ma l’apertura democratica a TUTTI, non correttamente gestita, ha portato ad un impoverimento dell’atletica di vertice anziché ad un arricchimento dello sport di base.
Dai dati del 2015, la FIDAL ha 193.000 tesserati atleti, più 16.000 Runcard, assimilabili agli Amatori, per un totale di 209.000 praticanti. Su 100 tesserati 42 sono Master, 8 Amatori/ Runcard, 35 giovani e solo 15 ATLETI, tra Allievi, Juniores, Promesse e Seniores fino ai 35 anni.
Dunque l’atletica leggera oggi è dei Master e delle gare non stadia, che attirano la metà dei praticanti, e da conti fatti rappresentano circa il 70% di tutta l’attività; ma, come già detto, le Olimpiadi non sono agoni da Master; Berruti vinse le Olimpiadi a 22 anni, tanto per fare un esempio, e quindi è essenziale, per l’atletica, trovare il modo perché questa piccola élite possa crescere e presentarsi competitiva sulla scena internazionale. Come fare?
L’atletica italiana si trascina pesantemente un tabù che risale ancora a De Coubertin, il professionismo, nato dal pregiudizio classista che solo chi è ricco e nobile può essere un “puro sportivo”; e la lotta tra il dilettantismo e il professionismo si è ripetuta ad ogni Olimpiade. Nel 1960 la pubblicazione inglese “La strada verso Roma” scriveva: “I professionisti dovrebbero essere ammessi ai Giochi Olimpici. Quasi tutti gli sportivi dovrebbero poter ricavare profitti finanziari dalla pratica dello loro sport, non foss’altro che per continuare a praticarlo”.
Le ultime Olimpiadi sembrano aver imboccato questa strada, basti considerare che a Rio nel calcio il Brasile schierava una formazione di milionari, e così in quasi tutte le specialità, compresa l’Atletica dove Usain Bolt e molti altri partecipano con profitto alla Diamond League in auge dal 2010.
Se questa è la realtà, occorre urgentemente darsi una struttura molto più realistica e al passo con i tempi.
Come in quasi tutti gli altri sport bisogna dividere le categorie esistenti in tre settori:
Dilettanti, comprendenti le categorie giovanili da Esordienti a Cadetti; Amatori da 23 a 39 anni; Veterani, categoria unica da 40 a 99 anni, tesseramento con FIDAL o EPS
Semiprofessionisti: Allievi e Master da 40 a 99 anni divisi per fasce. Professionisti: Juniores, Promesse, Seniores da 23 a 39 anni, limite superabile con tempi di riferimento, o, meglio, come nel tennis, creando un ranking in base ai risultati; tutti rigorosamente tesserati solo FIDAL.
Questa nuova classificazione dovrebbe essere supportata da alcune regole, che diano un senso concreto e motivante. Me ne vengono in mente alcune: premi in denaro, rimborsi e ingaggi riservati SOLO al settore Professionisti, retribuzione fissa più bonus legato ai risultati.
I Semiprofessionisti potrebbero percepire premi in denaro di entità ridotta da definire (es. il 50% dei professionisti)
I Dilettanti avrebbero diritto solo a premi in natura di entità contenuta, coppe e medaglie.
Per quanto riguarda i Dilettanti, si deve ammettere il tesseramento individuale, come esisteva una volta, eventualmente con una tassa maggiore di quella prevista per i “societari”.
Per quanto riguarda le Società si potrebbero prevedere tre tipi di adesione (affiliazione / riaffiliazione, attualmente 250 euro per il settore giovanile e 350 per tutte le categorie da Esordienti a Senior), ad esempio: Dilettanti 100 euro, Semiprofessionisti 500, Professionisti 1000.
Le manifestazioni potrebbero essere riservate a un solo settore o open.
In questo caso, per quanto riguarda le corse su strada, si può accettare un ordine di arrivo generale unico, ma classifiche e premiazioni separate per ogni settore; le classifiche di Società a punteggio dovrebbero riguardare solo le Società con adesione al Settore professionistico e semiprofessionistico. Nelle manifestazioni agonistiche non dovrebbe essere permessa la partecipazione non competitiva, l’iscrizione dovrebbe essere consentita solo ai tesserati FIDAL ed EPS.
Se a questa attività su strada si aggiungerà l’attività su pista in chiave moderna, il quadro sarà completo e favorevole alla PROFESSIONE Atleta.
Primo Nebiolo, una trentina di anni fa, intuì la crisi e comprese che, se l’Atletica non fosse diventata spettacolo, sarebbe stata condannata ad un inarrestabile declino.
Oggi è lo sport di squadra ad attirare le folle: bisogna pensare ad un Campionato di Atletica analogo a quelli di calcio, basket e volley; l’Assi Giglio Rosso deve diventare per un fiorentino quello che oggi è la “Viola”, o la Sisport come la “Zebra” e il Cus Torino come il “Toro” per i torinesi.
Per anni la Panini ha pubblicato l’Almanacco Illustrato dell’Atletica, oggi non lo pubblica nemmeno più la FIDAL; immaginiamo per un attimo l’esistenza di un Album degli atleti, e un ragazzino con in mano la figurina di Tamberi, che va all’Arena di Milano e comincia ad imparare il salto in alto, col sogno di arrivare un giorno a 2,40, quale maggiore promozione di questa? oltre tutto gratuita.
E’ solo un sogno? Può darsi; ho nella mente e nel cuore le parole di una grande italiana, Rita Levi Montalcini: “Nella vita non bisogna mai rassegnarsi, arrendersi alla mediocrità, bensì uscire da quella ‘zona grigia’ in cui tutto è abitudine e rassegnazione passiva, bisogna coltivare il coraggio di ribellarsi”. Auguro a chiunque verrà eletto il 6 novembre di pensare altrettanto e OSARE.