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Mi hanno chiesto in molti quale sia la molla che spinge un normalissimo cittadino come me ad affrontare una tra le più impegnative competizioni di Endurance Trail come il Tor des Geants ; la risposta che mi viene più spontanea è: la curiosità.
Andare a vedere oltre quello che già ho conosciuto nelle gare che ho disputato nei pochi anni della mia “carriera” agonistica, cioè mai più di una trentina di ore, e poco di più di un centinaio di km. Mettere alla prova il mio fisico ma soprattutto la mente, entrando in uno spazio parallelo e indipendente dalla vita di tutti i giorni dove lo scorrere delle ore e la vita stessa sono scandite da migliaia di bandierine gialle che come un filo di Arianna guidano i nostri passi liberandoci da ogni altro pensiero. 338 km ,31.000 mt di dislivello positivo possono significare poco più di 70 ore per i top runner, ma vogliono dire altrimenti sei giorni e sei notti per gli umani camminatori delle montagne, anzi dei colli, come li chiamano in Valle.
La partenza da Courmayeur provoca un’emozione che sarà impossibile dimenticare,correndo tra due ali di folla e il frastuono dei campanacci non riesco a trattenere le lacrime pensando all’ avventura in cui mi sono andato a cacciare, anche se sono tranquillo e so che tra qualche minuto saremo nella prima salita nel bosco, ognuno con i propri pensieri e il proprio passo. La prima giornata non è nulla di più di una gara da 50 km,pur se con 4.800mt di dislivello per le due salite oltre i 2800 mt del Passo Alto e del Col de La Crosatie, per di più fatta ad andatura turistica e sotto uno splendido sole. L’arrivo alla base vita di Bonne, poco sopra Valgrisanche, vuol dire sostanzialmente un ristoro più abbondante seduti a tavola, una doccia, cambio, riposino e ripartenza per una delle tappe più dure del Tor: in sequenza ci aspettano Col Fenetre, Col Entrelor e Col Loson. Ancora non lo so ma nelle prossime venti ore affronterò la fatica nel senso più totale del termine,fisica e mentale, ma le forze sono ancora fresche e il fatto che in pochi minuti, dopo superate le vette, il respiro e il passo ritornino normali mi tranquillizza molto.
Durante la discesa in notturna dal Loson l’incontro ravvicinatissimo con una volpe che ci guarda più stupita che impaurita costituisce un piacevole diversivo che sembra quasi volerci dire che la parte più dura della tappa è alle nostre spalle: i 3007 mt dell’Entrelor sono stati una vera sfida alla testa che in ogni istante ha comandato a gambe e polmoni e braccia di continuare a spingere mentre ogni fibra del corpo avrebbe voluto terminare quella fatica. Il successivo Col Loson, pur con i suoi 3296 mt, punto più alto della corsa, si lascia conquistare con maggior grazia con i suoi infiniti tornanti (mi hanno detto essere 120 ma non li ho contati) fino a quota 3000 e solo nel balzo finale di 300 D+ ci ricorda che siamo in Val d’Aosta, o meglio siamo al Tor, e qui nulla è comodo.
L’arrivo in notturna alla base vita di Cogne avviene sull’onda dell’ottimismo; so che adesso potrò concedermi il primo sonnellino vero, 1 ora e mezza, dopo aver mangiato e fatto la doccia. Seduto a tavola mi ritrovo accanto a una grande atleta come Francesca Canepa, fresca vincitrice della corsa in senso contrario 4K, che porta al collo il pass di Trailer Assistant come quello di Marina, mio angelo custode; scambiamo alcune parole sul percorso e mi prendo una bacchettata perché sto mangiando troppo poco: imparerò in seguito quanto sarà vero e cosa mi costerà in termini di fatica e velocità.
Parto per la terza tappa con l’intento, poi riuscito, di guadagnare qualche ora sulla tabella di marcia. Sono “solo” 45 km con 2.700 mt D+; alleggerisco lo zaino al massimo togliendo tutto quanto non obbligatorio, avendo davanti una tappa diurna con tempo previsto bello; e 1 kg e mezzo in meno sulla schiena si fa piacevolmente sentire. Come nella prima tappa, godiamo di panorami unici nella salita ai 2.800 del colle Fenetre de Champorcher, e poi nella discesa al Lago Miserin con annesso rifugio. Da qui inizia la lunga, e a tratti noiosa ,discesa fino a Donnas con un lunghissimo tratto stradale nella parte finale e passaggio sotto il forte di Bard. Alle 16.44 entro in base vita: siamo a 300 mt d’altezza e il caldo è opprimente,decido di attendere il buio per ripartire, un po’ per avere una temperatura più fresca e un po’ sapendo quanto saranno monotoni i primi km: tanto vale farli al buio. Alle 20.35 parto per la salita più lunga di tutta la gara, sono riposato, ho dormito due ore, ho fatto un pasto abbondante e mi sono cambiato. Unica incognita, la mia solita irritazione cutanea che da 60 km si fa sentire e non vuole mollare.
Sarà una lunga passeggiata fino a Sassa con quasi 2000 mt D+, l’intermezzo di due ristori, uno volante a Pont S. Martin e uno fantastico nel centro di Perloz, dove i volontari accolgono tutti i concorrenti come il loro più caro amico tra canti suoni di campanacci e ogni ben di Dio da mangiare. Nel cuore della notte c’è di che commuoversi. Prossimo traguardo il rifugio Coda, già meta di una escursione di allenamento fatta a luglio; stanotte mi sembra che il rifugio si sia allontanato un bel po’ ma forse la concentrazione da impiegare per dirigere ogni passo incide sul giudizio. Inizio a realizzare che la privazione di sonno causa una estrema fatica per valutare traiettorie e appoggi, e il buio non semplifica certo le cose.
La notte è di quelle che vorresti sempre vivere, l’aria tersa e la luna quasi piena permetterebbero di camminare senza la frontale, che però serve per illuminare le bandierine rifrangenti. Non mi fermo mai ,il passo non è certo rapido ma costante, e quando arrivo in cresta mi attende uno spettacolo straordinario: alla sinistra massicci montuosi che si stagliano contro un cielo chiarissimo, mentre a destra in basso le luci di una città (forse Occhieppo, ma non sono sicuro) e mi stupisco di poter addirittura distinguere ogni finestra illuminata tanto la notte è limpida. Pochi minuti e sono al rifugio, e qui commetto uno dei primi errori:l’intenzione è di mangiare ,riposare mezz’ora su una panca e ripartire visto che ho un buon vantaggio e invece quando un volontario mi offre di andare su a letto, “che ce ne sono di liberi”, accetto con l’accordo di farmi svegliare dopo 30 min. Mi addormento di botto, puntualmente dopo mezz’ora vengo svegliato ma sono in stato semicosciente e perdo ancora 20 min. quando finalmente scendo ho voglia di colazione e chiedo alla signora responsabile del rifugio se mi può preparare caffelatte con pane e marmellata,ovviamente pagando,visto che il ns. ristoro è al piano di sotto ma io non ho voglia di scendere, cosi tra la colazione e un ultimo pisolino perdo ancora tempo.
Alla fine esco dal Coda che sta albeggiando,ho perso due ore ma sono stato bene tra quelle pareti amiche insieme a persone che vivevano le mie stesse esperienze, conosco la strada so cosa mi aspetta: Lago Vargno, rifugio della Balma (questa invece è una novità), poi col Marmontana, Crenna dou Leui e infine Colle della Vecchia , non “sentieri” ma passaggi su enormi pietraie che mettono a dura prova i piedi; comunque non infiniti. Quello che invece farà la differenza sarà la risalita al rifugio della Balma, 300 D+ in tre km veramente duri anche perché una volta rifocillati la quota acquisita sarà quasi totalmente persa per ritornare sul tracciato originale: una vera mazzata psicologica. Arrivo comunque a Niel alle 16.25, mentre il cancello orario è alle 19.30. Credo di essere ancora in tranquillità, ma alla mia domanda se ho tempo per il cancello della base vita di Gressoney ricevo pareri discordanti: un paio di giovani volontarie addette al controllo storcono il naso, mentre due alpini mi dicono che potrei farcela. Sta arrivando un temporale, devo salire di 800 mt sul Col Lazoney e poi fare tutta la valle del Loo; parto subito quasi senza mangiare, e do fondo a tutte le energie non concedendomi nessuna pausa. Mi preoccupano un po’ i fulmini che cadono frequenti mentre sono allo scoperto, ma non ho animo di chiudere i bastoncini indispensabili in quei momenti. Valicato il colle cerco di tenere un’andatura che assomigli almeno a un passo di corsa di defaticamento, e ci riesco per alcuni km; non so dove sto prendendo la benzina, arrivo al ristoro di Ober Loo, mi fermo un attimo e faccio un rapido ma sostanzioso spuntino,mancano 12 km ma con solo 700 mt D+ il più è fatto. Entro in base vita a Gressoney, quarta tappa, alle 20.43, 2 ore e 17 min. di vantaggio: il morale risale.
Sfrutto quasi tutto il vantaggio per cenare ,fare la doccia,consueto massaggio di Marina che ormai conosce i miei muscoli meglio di me e sa come rimettermi in pista, e “lunga” dormita di due ore. Esco alle 0.48 cioè 12 minuti prima della barriera oraria di uscita. Prossima tappa Valtournenche fra 33 km e 3.200 mt D+ ; l’ascesa al Col Pinter con i suoi 2.776 mt chiarisce subito che non sarà una passeggiata nemmeno oggi, i sentieri sono sempre su pietraie e ad ogni passo si sale di 30/40 cm: è come una scala infinita e i pochi tratti di salita su veri sentieri appaiono come momenti di riposo. Per tutta la tappa sarà un susseguirsi di discese e risalite, ogni volta di 700/800 mt passando per Champoluc con il suo ristoro, per risalire poi fino ai 2.535mt del rifugio Gran Tournalin, ridiscendere e poi ancora in alto (Mogol-Battisti docent) ai 2.772mt. del Colle di Nana. Nuova calata e nuova salita dei soliti 700 D+ e infine si scende, con un infinito traverso nel bosco, a Valtournenche, non prima però di aver attraversato l’abitato di Cretaz su strade asfaltate, cosa che porterà via quasi un’ora. Entro in base vita alle 14.25: quattro ore e mezzo di vantaggio! Morale sempre alto ma il fastidio fisico comincia a essere una presenza non gradita,l’unica vescica sotto al piede è ben controllata dal cerotto colloidale, e se anche si sta allargando non mi preoccupa.
A questo punto avviene una cosa che in parte influenzerà il resto della mia gara: mentre mangio mi si avvicina un concorrente conosciuto alcuni mesi fa che mi dice “domani tappa dura e poi siamo arrivati”; realizzo che per tutto il giorno avevo agito e pensato come se questa tappa non esistesse,nella mia testa studiavo già le strategie per affrontare l’ultima tappa,devo rivedere tutto quanto e resettare il cervello per affrontare la tappa in quota durante la quale non scenderemo mai sotto i 2.000mt, è vero, ma faremo molte puntate ai 2.600/2.700 per i “soliti” 5.000 D+. Parto alle 18.30 con la notte davanti, siamo in tre, tra cui l’amico Giorgio che poi avrà l’onore di arrivare ultimo, mi fanno fare da battistrada anche se metto subito in chiaro che ho intenzione di fare una notte molto tranquilla e aspettare il giorno per allungare,si sale per un sentiero che porta a una centrale idroelettrica. Là in alto, molto in alto, vediamo una lunga fila di lampioni che illuminano la sommità della diga, e quando ne raggiungiamo la base ci rendiamo conto di quanto è alto il muro di cemento (forse 40 mt), nel frattempo ha smesso di piovere ed è uscita la luna che illuminando le nuvole rimanenti crea scenografie spettacolari.
Dopo l’ennesimo scollinamento, il rifugio Barmasse, solita pausa e rifornimento e ripartiamo, a questo punto rimango solo visto che i miei compagni allungano il passo agganciandosi a un concorrente più veloce. È la condizione che amo di più: la notte in solitudine sui sentieri; mantengo il passo costante e mi godo i paesaggi illuminati dalla luna, anche se il sonno morde sempre di più e nei tratti particolarmente duri di salita è duro tenere alta l’attenzione. Tra alti e bassi di condizione, e su e giù da colli sempre più ripidi - o forse sono io più stanco - arrivo al rifugio Cuney, 2.652mt; mangio minestra in brodo e pane e bresaola, mi aspetta il Col de Vessona con i suoi 2.793mt e mi dicono sia prevista neve,riposo 15 minuti e riparto solo,Giorgio che avevo ripreso e poi di nuovo perso dovrebbe essere di là a dormire.
Durante la salita il tempo peggiora e ben presto inizia a piovere rendendo molto più dura l’ascesa, mi concedo alcune pause e accade una cosa buffa: mi fermo in piedi sul sentiero sotto l’acqua battente appoggio la testa sui bastoncini chinandomi in avanti e…. mi addormento all’istante. Me ne rendo conto perché inizio a sognare e nel sogno mi dico che non posso dormire e riapro gli occhi. La sensazione è di aver dormito a lungo ma credo che il tutto non sia durato più di un paio di minuti. Più avanti dormirò ancora seduto su un sasso per 6/7 minuti, ma stavolta in maniera più consapevole. Alla fine dopo tutto sto riposo arrivo a scollinare; tira un vento fortissimo e in effetti nevica,il termometro che ho al polso indica 2° quindi siamo intorno allo zero, ma il vento fa sentire più freddo. Cerco di scendere in fretta ma il sentiero reso fangoso è ripido e in parte esposto, meglio usare cautela; purtroppo il vento sale da questo versante e l’acqua scende quasi in orizzontale inzuppandomi i pantaloni, che mi ricordano ad ogni passo i miei simpatici arrossamenti. La prossima meta è il ristoro di Oyace con la sua barriera oraria delle 13.30 e mi aspetta un infinita discesa, prima assai ripida poi all’interno di una magnifica valle pianeggiante, e infine di nuovo ripida dentro al bosco. Sarebbe il momento di accelerare per “fare media” ma dopo pochi metri di corsetta devo rimettermi al passo causa il bruciore che fatico ormai a controllare nonostante tutti i trucchi messi in campo.
Il tarlo di non farcela a rientrare nei cancelli orari comincia il suo subdolo lavoro, le 13.30 ad Oyace e poi il Col Bruson prima dell’ultima base vita di Ollomont… comunque sia alle 10.48 entro ad Oyace mi dicono che per essere tranquilli con i tempi si deve ripartire entro le 12.00 per essere a Ollomont entro le 17.00. Cinque ore che nelle mie condizioni possono non essere sufficienti almeno nella mia valutazione di trailer stanco,bagnato e acciaccato: una telefonata a Marina, che mi dice di essere a mezz’ora di strada, e il mio Tor de Geants finisce qui. 275 km 25.000 mt. di dislivello e 120 ore sono stati sufficienti a soddisfare la mia curiosità, 60 km e 25 ore che sono rimasti da percorrere saranno forse la molla che mi porterà nuovamente in Val d’Aosta tra 12 mesi. Avevo detto che il regalo per i miei 60 anni sarebbe stato il Tor : un colpo solo, comunque sarebbe andata; ma mai dire mai, solo gli sciocchi non cambiano idea.
Ho vissuto cinque giorni e cinque notti in una dimensione che faccio fatica a descrivere; conoscendo persone e luoghi sotto un punto di vista diverso ho potuto fare piazza pulita di tutti i pensieri e le preoccupazioni quotidiane, ho conosciuto me stesso ancora più a fondo, ho capito anche se non ne avevo bisogno, quanto sia grande il legame con Marina,che è stata costantemente nei miei pensieri oltre che nei fondamentali punti di assistenza: sono stato molto fortunato!