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Per noi giornalisti fa notizia l’uomo che morde il cane e non viceversa, per cui sarebbe inutile commentare l’ennesima figuraccia rimediata a Belgrado negli Europei indoor, però l’amore per l’Atletica è tale che è doveroso parlarne.
“Torniamo da Belgrado con una medaglia d’argento e otto atleti in finale. Risultati che si collocano ai piani bassi nella storia della partecipazione azzurra agli Euroindoor, era dall’edizione di Madrid 2005 che non si registrava un bottino del genere in termini di medaglie e punti”
Questo il commento del D.T. Elio Locatelli, tornato alla guida della nostra “barchetta” dopo 23 anni, un mostro sacro che, come Zeman per il Pescara, non ha saputo rifiutare un’impresa disperata per amore dell’Atletica italiana.
Ma non è coi grandi del passato che si può invertire la rotta: nessuno mette in dubbio i grandi meriti di Locatelli, ma a 73 anni è giusto godersi la pensione. Il difetto è nel manico come sempre.
Abbiamo “imparato” dalle altre Nazioni a reclutare atleti alloctoni, ma anche loro non riescono a risollevare le sorti azzurre, non è dunque questione di “razza”; ci vorrebbe il Mago Merlino (come ha chiosato per altro proposito Gentiloni) o dovremmo agire sulle cause di questa situazione ?
Certo le cause sono molteplici e di non facile individuazione e soluzione: prima di tutto la politica.
E’ dalle scuole, che si deve cominciare a far amare lo sport e l’atletica in particolare; nei miei anni di gioventù a Brescia, dove studiavo, era in vigore un campionato degli Istituti con le specialità: atletica leggera, corsa campestre, calcio, pallacanestro, pallavolo e sci, tutto l’anno scolastico era imperniato su questo campionato e tutti noi eravamo impegnati a far vincere la nostra scuola, è così che ho cominciato a correre.
Poi ci vuole il supporto economico: in America ci sono le borse di studio per i migliori atleti dei vari sport, da noi molti “luminari” considerano l’attività sportiva una perdita di tempo a detrimento dello studio.
Vengono quindi i problemi da addebitare al sistema organizzativo dell’atletica italiana: la maggior parte delle società ha la composizione e la formazione di “quattro amici al bar”, non si punta alla specializzazione e alla formazione, questo per la confusione esistente a livello mentale tra società di Atletica leggera e società podistiche. Occorre separare nettamente le due attività, le prime puntano ai risultati, le seconde al tempo libero.
Occorre infine una presa di coscienza di quello che l’Atletica può comportare dal punto di vista economico: le sei maggiori maratone del mondo, New York, Londra, Berlino, Chicago, Boston e Tokyo registrano la partecipazione di 250.000 persone con un giro di affari di circa due miliardi di dollari.
In Italia, come mette in evidenza la mozione della deputata Daniela Sbrollini (controfirmata da 23 colleghi), con la normativa sulla tutela sanitaria del 1982 (sono passati 35 anni), e le norme emanate l’anno scorso dalla Fidal, soprattutto per far cassa, si disincentiva la partecipazione, obbligando anche i semplici amatori ad una visita agonistica annuale dal costo medio di 80 euro, e allontanando irreversibilmente gli stranieri.
Cominciamo a meditare sulla nostra arretratezza prima di tutto culturale, e poi vediamo se sia possibile, tutti assieme, rifondare tutta l’attività sportiva, intesa non come un male non necessario, ma come un’opportunità fisica, spirituale ed anche economica.